Un punto fermo era stato messo a dicembre dalla Corte di giustizia europea, che aveva ribadito, col plauso di Federfarma e Fofi, che la legge italiana è in linea con il diritto comunitario: i farmaci con obbligo di ricetta vanno venduti solo in farmacia. Il dibattito sulla liberalizzazione della Fascia C, che vede principalmente contrapporsi farmacie e parafarmacie, è però ben lungi dall’essersi fermato. La sentenza europea del 5 dicembre scorso, a cui si è arrivati dopo che tre farmaciste di Milano si erano rivolte al Tar per avere l’autorizzazione a vendere nelle proprie parafarmacie medicinali con obbligo di ricetta, aveva stabilito che per «ragioni imperative di interesse generale» la vendita rimanesse prerogativa delle farmacie. Ciò per rispettare «il requisito della pianificazione territoriale» ed evitare «il rischio che le parafarmacie si concentrino nelle località considerate più redditizie e che le farmacie situate in tali località vedano diminuire la propria clientela e subiscano una perdita di reddito. Questa situazione potrebbe quindi causare una diminuzione della qualità del servizio che le farmacie forniscono al pubblico e comportare perfino la chiusura definitiva di alcune di esse: una penuria di farmacie in determinate parti del territorio condurrebbe allora a un approvvigionamento di medicinali inadeguato quanto a sicurezza e a qualità». Insomma, la dispensazione dei farmaci non può avvenire secondo il criterio della scelta delle zone commercialmente più attraenti, ma deve, come ha ricordato la Corte, «soddisfare il fabbisogno di medicinali su tutto il territorio». Un giudizio netto, che però non ha quietato la querelle. A riaccendere ultimamente gli animi è stata l’udienza del 24 giugno alla Corte costituzionale per esaminare la questione della legittimità, sollevata dal Tar della Calabria dopo il ricorso di una farmacista titolare di parafarmacia, sull’esclusione delle parafarmacie dalla vendita dei Fascia C con obbligo di prescrizione. La Fnpi, federazione nazionale parafarmacie italiane, ha presentato una memoria per perorare il diritto di queste ultime, a partire da un presupposto: «occorre precisare con forza – scrive la federazione – come alla possibilità di vendita di tutti i farmaci di Fascia C nelle c.d. parafarmacie non può conseguire alcun rischio per la salute dei cittadini. Infatti, non potrebbe esistere alcuna criticità (diversa da quella comunemente riconducibile alla vendita di ogni tipo di farmaco, anche nelle farmacie) al momento della dispensazione di questi farmaci. Essa, infatti, avverrebbe nelle c.d. parafarmacie – esattamente come nella farmacie – da parte di farmacisti (abilitati e regolarmente iscritti all’albo). L’identica qualificazione professionale del soggetto che effettua la dispensazione esclude, cioè, ogni eventuale rischio (aggiuntivo) riconducibile alla tutela della salute del paziente all’atto della cessione del farmaco». Anche per quel che riguarda il possibile danno economico conseguente alla perdita di prerogativa su tali medicinali, e ai rischi per l’accesso alle cure per i cittadini di tutto il territorio nazionale, Fnpi minimizza gli eventuali effetti negativi: «La pianta organica, infatti – scrive la federazione nella sua memoria –, risulta perfettamente sovvenzionata dalla vendita monopolistica dei farmaci di Fascia A in capo alle farmacie». Fnpi, in modo analogo a quanto calcolato anche dal Movimento nazionale liberi farmacisti, afferma che «riesce davvero impossibile credere che il sistema di pianificazione delle farmacie, “finanziato” per un buon 80% (e più) dalla vendita dei farmaci di Fascia A (sovvenzionati dal Servizio sanitario nazionale) possa essere messo a rischio dalla liberalizzazione della vendita dei farmaci di Fascia C nelle parafarmacie. E ciò perché, appunto, mentre tale mercato “vale” complessivamente solo il 20% del totale (di modo che è del tutto irrealistica una incidenza così rilevante come quella paventata), non è affatto detto che la sua “apertura” corrisponda esattamente alla medesima perdita in termini percentuali per le farmacie tradizionali. Al contrario, è ben probabile che le stesse mantengano la quota più elevata di tale mercato, non fosse altro perché – come è del tutto ragionevole ritenere e attendersi – i pazienti che
ivi si recano per l’acquisto dei farmaci di Fascia A propenderanno anche per il contestuale acquisto di quelli di Fascia C». Pur rimanendo prioritario per la federazione delle parafarmacie la liberalizzazione di tali medicinali, una proposta avanzata recentemente è per un “delisting intelligente”. «Uno spostamento in categoria SOP di tutto quanto non ha ragione di avere l’obbligo di ricetta», secondo il presidente di Fnpi Davide Gullotta, «consentirebbe a tutti i farmacisti di lavorare meglio e di valorizzare la propria professione. Chi ne avrebbe maggiori vantaggi sarebbero i tanti titolari di licenza, fondamentalmente onesti, e i loro collaboratori, che potrebbero finalmente servire meglio i loro pazienti senza poter essere considerati professionisti non sempre corretti, poiché non esigono sempre la presentazione della ricetta per i farmaci. Invece, finora è prevalsa l’idea che le riclassificazioni facciano “uscire” dalla farmacia il farmaco riclassificato SOP, solo perché esso diventa vendibile anche in parafarmacia. La liberalizzazione della Fascia C resta per noi l’obbiettivo più importante e auspicabile, fermo restando che consideriamo un serio delisting altrettanto fondamentale, quanto l’unità di tutta la professione nel chiederlo, poiché ciò renderebbe più facile e fluente il lavoro di tutti». «Basta col muro contro muro», è l’invito/sfida di Gullotta, «mettiamo a disposizione di tutti i farmacisti quanti più farmaci possibile, e diamo l’opportunità a tutti i colleghi di consigliarli al bisogno, prescindendo dal mero sconto sul prezzo e puntando sulla bravura, perché noi siamo altrettanto bravi, ma non abbiamo i mezzi per dimostrarlo». Alla Corte costituzionale, e ai colleghi, l’ardua sentenza.
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