parafarmacie presidi sanitari«Le dichiarazioni dell’avvocato Paola Ferrari, esperta di Diritto sanitario, secondo la quale le parafarmacie sono “presidi sanitari”, per via della presenza del farmacista, sono assolutamente condivisibili». Ivan Giuseppe Ruggiero, presidente delle Libere Parafarmacie Italiane, ha commentato con queste parole alle affermazioni della legale, pubblicate da FarmaciaVirtuale.it. L’esperta era a sua volta intervenuta in merito ad una polemica sorta tra la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri e alcune associazioni di categoria dei farmacisti. La prima aveva infatti definito le farmacie come “strutture non propriamente sanitarie”, suscitando il malcontento delle seconde. L’avvocato, aveva tuttavia precisato che i termini non sono formalmente scorretti: «Le farmacie non possono essere considerate delle “strutture sanitarie”, poiché queste hanno requisiti diversi e sono deputate alla branca prettamente clinica». La stessa Ferrari aveva quindi spiegato che le farmacie sono tecnicamente dei «presidi sanitari del Servizio sanitario nazionale» e aveva parlato anche delle parafarmacie, sottolineando che «si tratta di un caso ancora diverso», poiché esse «rappresentano allo stesso modo un presidio sanitario, tenuto conto anche della presenza del farmacista e dell’erogazione di determinate tipologie di medicinali, ma non del Servizio sanitario nazionale». Ruggiero ha stigmatizzato in proposito, citando in particolare Federfarma, il fatto che le parafarmacie siano state considerate come «esercizi meramente commerciali» e che sia stato affermato che «la farmacia, in quanto luogo, sia garante della salute pubblica, anziché il farmacista». «In parafarmacia – ha aggiunto il dirigente delle LPI – vige la presenza di un farmacista laureato, garante della salute pubblica del cittadino. Le parafarmacie hanno inoltre un codice univoco ministeriale per essere identificate». Si tratta perciò di «luoghi autorizzati e sicuri, atti a garantire la buona conservazione e distribuzione dei medicinali e degli altri prodotti». D’altra parte, «se fossimo stati esercizi commerciali e noi commercianti, avremmo pagato i contributi all’Inps e non all’Enpaf».

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