Nei primi sei mesi del 2019 sono giunte al sistema italiano di fitovigilanza 28 segnalazioni spontanee di epatite acuta, nella maggior parte dei casi con colestasi, legata al consumo di prodotti che contenevano curcuma, termine con cui nel linguaggio comune si intende il rizoma di Curcuma longa. I suoi componenti principali sono i curcuminoidi, costituiti per il 77% da curcumina. Poiché la biodisponibilità della curcumina è molto bassa, sono stati ideati vari metodi per migliorarne l’assorbimento, inclusa la complessazione con la piperina, un alcaloide estratto da Piper nigrum. Gli integratori a base di estratti di curcuma sono utilizzati soprattutto nelle patologie reumatiche per il presumibile effetto antinfiammatorio e per la riduzione del peso corporeo. La European food safety authority (Efsa) ha stabilito per la curcumina una dose giornaliera massima di 3 mg/kg/die.

[Se non vuoi perdere tutte le novità iscriviti gratis alla newsletter di FarmaciaVirtuale.it. Arriva nella tua casella email alle 7 del mattino. Apri questo link]

Nel volume 56 degli Annali dell’Istituto superiore di sanità (Iss) sono descritte le attività che il gruppo di lavoro ha portato avanti per valutare i casi sospetti di epatotossicità e guidare le decisioni volte a ridurre il rischio associato ai prodotti contenenti curcuma. In 17 dei 28 casi considerati la valutazione della causalità è stata “plausibile”, in 10 casi “probabile”, mentre in un caso non è stato possibile valutare la relazione causale.

È stata verificata la corrispondenza tra la dose raccomandata riportata sull’etichetta del prodotto e la dose assunta, che è risultata uguale o superiore a quella raccomandata. Nel 67% dei casi, l’apporto giornaliero di curcumina era da 1.6 a 7 volte più elevato rispetto al valore di riferimento giornaliero stabilito dall’Efsa. In nessuno dei campioni dei prodotti analizzati sono stati rilevati farmaci, coloranti di sintesi e alcaloidi pirrolizidinici; metalli pesanti, aflatossine, pesticidi rientravano nei limiti consentiti. Non è stata identificata la presenza di specie di curcuma diverse dalla longa e la concentrazione di curcuminoidi era conforme alle dichiarazioni in etichetta.

Sono state formulate diverse ipotesi per la sospetta epatotossicità della curcuma, a partire dall’azione coleretica e colecistocinetica della curcumina. La curcumina viene infatti escreta attraverso la bile e l’escrezione è mediata da pompe di efflusso Atp-dipendenti responsabili anche del trasporto fisiologico degli acidi biliari dal fegato ai canalicoli biliari per formare la bile. Si può supporre l’esistenza di una competizione per i trasportatori tra la curcumina e gli acidi biliari, che si accumulerebbero nel fegato inducendo colestasi.

Alcuni studi hanno dimostrato che la curcumina inibisce l’attività del citocromo P450, determinando un aumento della concentrazione ematica dei farmaci metabolizzati, con conseguente tossicità. La piperina inibisce sia il Cyp3A4 che la glicoproteina P. Queste proteine sono espresse su enterociti ed epatociti, motivo per cui la curcumina, specialmente se associata alla piperina, potrebbe essere causa di interazioni tra farmaci.

Nella prima metà del 2019 il ministero della Salute aveva pubblicato una lista dei prodotti implicati nelle reazioni avverse, decidendo di adottare un’avvertenza speciale per l’etichettatura degli integratori a base di curcuma, volta a scoraggiarne l’uso in caso di alterazioni della funzione epato-biliare. Allo stato attuale delle conoscenze non può essere escluso un rapporto di causa-effetto tra dosaggio e formulazione degli integratori a base di curcuma e i casi di epatite riportati.

© Riproduzione riservata

Non perdere gli aggiornamenti sul mondo della farmacia

Riceverai le novità sui principali fatti di attualità.

Puoi annullare l'iscrizione con un click. Non condivideremo mai il tuo indirizzo email con terzi.