situazione sanitaria nepalIl terremoto in Nepal non è solo la drammatica conta dei morti: migliaia e migliaia di persone sono infatti rimaste ferite a causa del sisma epocale che ha colpito lo scorso 25 aprile lo Stato asiatico. Ma la capacità di quest’ultimo di far fronte all’emergenza resta limitata: come riferisce Radio Vaticana, citando fonti locali, sono circa 300 gli ospedali che, in 14 distretti, hanno riportato gravi danni strutturali (la metà di essi risulta completamente rasa al suolo). Mancano dunque letti, strumentazione medica, farmaci e dottori .
L’emittente cattolica racconta la storia di Sanju Thapa, che nel distretto di Dolakha si ritrova in fila in attesa di essere ammessa al Bir Hospital di Kathmandu: «Ho perso i miei genitori. Io, mio marito e la mia bambina di 3 anni abbiamo gravi ferite alla testa e al petto. Sono due giorni che aspettiamo di essere ricoverati, ma l’ospedale dice che non ci sono abbastanza letti e materiali per farci entrare. Mi preoccupa anche la mancanza di denaro, non so se potrò permettermi le medicine quando toccherà a me. Molti malati ricoverati prima di noi continuano a dire che stanno finendo le scorte».
Shanta Bahadur Shrestha, segretario del ministero della Salute, ha dichiarato senza mezzi termini che le capacità di assistenza del Paese «si sono ridotte in modo notevole perché molti medici sono morti, tante strutture ospedaliere sono crollate, e decine di macchinari e scorte medicinali sono state danneggiate. Abbiamo bisogno dell’aiuto della comunità internazionale». Similmente, Anil Kumar Mishra, docente e capo dell’unità epatica del Bir Hospital delinea un quadro inquietante: «Il disastro ha superato ogni nostra stima. Almeno 450 letti del nostro ospedale sono distrutti. Tutte le sale operatorie sono chiuse. Medicinali e strumenti sono danneggiati. Cerchiamo di curare le persone nelle tende. Migliaia di persone vengono qui per ricevere trattamenti, ma abbiamo mezzi davvero scarsi».
È necessario perciò che l’impegno della comunità internazionali venga moltiplicato, anche per non correre il rischio di far precipitare la situazione, come già accaduto ad esempio ad Haiti con le epidemie registrate nel periodo successivo al devastante sisma del 2010.

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