concorso straordinario lazioLe recenti decisioni del Tar del Lazio, depositate il 9 marzo, «sgombrano almeno per ora il terreno da alcune nubi che gravano sul concorso straordinario regionale». Ciò nonostante, permangono alcune «ombre» sull’iter. A spiegarlo è lo studio associato Bacigalupo-Lucidi, che sottolinea come le questioni ancora aperte siano legate al primo provvedimento del comune di Roma di autorizzazione all’esercizio di una farmacia assegnata all’esito del concorso straordinario, «che è stato infatti rilasciato a nome e a favore delle persone fisiche dei tre co-vincitori, dunque in regime di contitolarità, o pro quota, o pro indiviso tra loro, con l’affidamento della mera gestione dell’esercizio alla società di persone tra gli stessi costituita».
La vicenda della prima farmacia romana aperta nell’ambito del concorso straordinario è stata trattata di recente dalla nostra testata: si tratta di un esercizio che ha aperto i battenti nel quartiere Talenti della capitale. «Quel che il provvedimento comporta in termini di gravi pregiudizi per i “co-titolari” – prosegue lo studio associato – è stato oggetto di ampia e ripetute analisi». C’è però da sottolineare, secondo gli avvocati, un «aspetto curioso, per usare un eufemismo, che si rileva dalla “autocertificazione d’incompatibilità” che i tre “co-titolari” sono chiamati a sottoscrivere, e nella quale si chiede loro di dichiarare semplicemente “di non trovarsi nelle condizioni di incompatibilità previste nell’art. 13 della l. 2 aprile 1968 n. 475 e successive modificazioni”. Il che sta a significare che da ciascun “co-titolare” (data la sua inequivoca perfetta equiparazione a un titolare in forma individuale) si pretende null’altro che non essere dipendente pubblico e/o propagandista di prodotti medicinali e che dunque la fitta griglia delle incompatibilità previste a carico dei soci sub a), b) e c) del comma 1 dell’art. 8 della l. 362/91 non lo riguarda». Secondo lo studio associato, dunque, la situazione è tale da poter parlare di «poche idee ma confuse, come certifica anche il silenzio assordante sulle ragioni che spiegherebbero l’adozione di un provvedimento del genere, come si trattasse di una misura giuridicamente scontata. Certo, Roma Capitale ha voluto soltanto attenersi alle “istruzioni” della Regione Lazio che a propria volta si era appiattita sulle tesi dell’Emilia Romagna, omologatasi da par suo al “parere” ministeriale. Questa è però una scelta che non attenua ma semmai aggrava le responsabilità dell’amministrazione romana, che fortunatamente gli altri comuni laziali non sembrano propensi ad assumersi (al pari, almeno sino ad oggi, di tutte le altre Regioni)». Il risultato, per ora, è che «siamo costretti ad assistere alla formazione di due schiere ben differenti di “titolari da concorso straordinario”: gli uni (emiliani e romani) investiti uti singuli; gli altri (tutti gli altri) uti socii, con tutto quel che di importante ne consegue. Cosa accadrà quando il Consiglio di Stato avrà detto la sua?».

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