Fascia C

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Farmaci con obbligo di ricetta, Fascia C, solo in farmacia. «Il sistema italiano, che non consente alle parafarmacie di vendere farmaci soggetti a prescrizione medica che non sono a carico del Servizio sanitario nazionale, bensì vengono pagati interamente dall’acquirente, riduce il rischio di una penuria di farmacie in modo proporzionato all’obiettivo di garantire un rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualità». A stabilirlo è stata una sentenza ufficiale del 5 dicembre della Corte di giustizia Europea, che ha confermato il parere dell’avvocato generale della Corte. Dunque, la legge italiana è legittima e in linea con il diritto comunitario.

A sollevare il caso erano state tre farmaciste di Milano che avevano chiesto l’autorizzazione a vendere nelle proprie parafarmacie medicinali soggetti a prescrizione medica a carico del cliente; richiesta respinta dalle Asl e dal ministero della Salute dal momento che la normativa nazionale ne autorizza la vendita solo in farmacia. Le tre colleghe si sono allora rivolte al Tar della Lombardia affermando che tale rigetto era contrario al diritto dell’Unione. Il Tar ha interpellato la Corte di giustizia per verificare se il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea fosse in contrasto con la legge nazionale che non consente al farmacista non titolare di una farmacia ricompresa nella «pianta organica» di vendere in parafarmacia farmaci soggetti a prescrizione medica che non sono a carico del Servizio sanitario nazionale ma dell’acquirente. Nella sua sentenza, la Corte ricorda che la ripartizione geografica delle farmacie e il monopolio della dispensazione dei medicinali sono di competenza degli Stati membri, e nella fattispecie del nostro Paese, la pianificazione territoriale delle farmacie «è diretto – da un lato – ad evitare il rischio che le farmacie si concentrino unicamente nelle zone commercialmente più attraenti e a garantire a ciascuna di loro una quota di mercato e – dall’altro – a soddisfare il fabbisogno di medicinali su tutto il territorio». Un farmacista che intenda aprire in Italia una parafarmacia è quindi escluso dai benefici economici derivanti dal mercato dei medicinali soggetti a prescrizione medica pagati interamente dall’acquirente, e se tale vincolo può costituire una restrizione alla libertà di stabilimento, esso può essere giustificato da «ragioni imperative di interesse generale».

La Corte ricorda infatti che un regime di pianificazione può rivelarsi indispensabile per colmare eventuali lacune nell’accesso alle prestazioni sanitarie, o al contrario per evitare una duplicazione delle strutture, in modo che sia garantita un’assistenza adeguata in tutto il territorio, tenendo conto delle regioni geograficamente isolate e svantaggiate. «Se fosse consentito vendere nelle parafarmacie determinati medicinali soggetti a prescrizione medica – sostiene la Corte –, ciò equivarrebbe a commercializzare tali medicinali senza osservare il requisito della pianificazione territoriale, con il rischio che le parafarmacie si concentrino nelle località considerate più redditizie e che le farmacie situate in tali località vedano diminuire la propria clientela e subiscano una perdita di reddito. Questa situazione potrebbe quindi causare una diminuzione della qualità del servizio che le farmacie forniscono al pubblico e comportare perfino la chiusura definitiva di alcune di esse: una penuria di farmacie in determinate parti del territorio condurrebbe allora ad un approvvigionamento di medicinali inadeguato quanto a sicurezza e a qualità». Una tesi che trova il pieno accordo del sindacato: «I giudici comunitari hanno pienamente condiviso le argomentazione del Governo italiano e di Federfarma – dichiara la presidente Annarosa Racca – a difesa di un sistema che ha sempre garantito il massimo livello di tutela della salute dei cittadini».

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