farmacieuniteIn riferimento all’articolo, a firma di Francesco Giavazzi, pubblicato sul Corriere della Sera il 28 marzo scorso, intitolato “Salviamo la legge anti-lobby”, seguito dall’intervista al ministro del MISE Federica Guidi il 30 marzo, sulla stessa testata, nel servizio “Avrei aperto di più i mercati ma il Paese fatica a cambiare” Alessandro Cupellini, farmacista associato a Farmacieunite ha presentato una propria replica “all’accusa rivolta alla professione”. Farmacieunite, associazione di farmacisti, riporta le parole del farmacista attraverso un comunicato inviato agli organi di informazione.

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“Egregio Dottor Giavazzi,
Mi chiamo Alessandro Cupellini e sono un farmacista.
Probabilmente, ai suoi occhi sono anche uno di quei titolari di “aziende inefficienti che lucrano ricche rendite” di cui parla nell’articolo pubblicato oggi sul Corriere (“Salviamo la legge antilobby”).
Mi permetta di farle notare che nelle sue argomentazioni mi sembra di vedere una contraddizione, laddove lei pare considerare con favore l’ingresso di società di capitale nella titolarità delle farmacie, poiché questo permetterebbe “economie di scala”. Ora, anche tralasciando il fatto che non si capisce (e lei non spiega) quali giovamenti potrebbe trarre un cliente da eventuali economie di scala, quel che appare incomprensibile – di più: assurdo – è il suo auspicio di “salvarci dalle lobby” consegnando le farmacie italiane nelle mani di grandi gruppi multinazionali. O forse lei pensa, professore, che migliaia di giovani imprenditori illuminati riusciranno magicamente a creare geniali start up, realizzare enormi campagne di crowdfunding, fondersi in cooperative, e superare la concorrenza di aziende che fatturano miliardi di euro? Le dice niente il nome Boots?
Davvero lei crede che i farmacisti italiani siano una lobby capace di una pressione in parlamento e senato superiore a (faccio un nome a caso) Nestlé?
Davvero lei crede che un modello di farmacia basato sulla GDO porti vantaggi al cliente? Davvero lei crede che sarà ancora possibile per una singola persona continuare come oggi ad acquistare (o ordinare) il farmaco equivalente di una determinata ditta, quando la proprietà del distributore di farmaci (grossista) e del singolo punto vendita coinciderà? Davvero un professore della Bocconi è così ingenuo?
Quando parla di superamento della pianificazione numerica delle farmacie, è sicuro di conoscere l’argomento meglio di me e dei miei colleghi? Ha mai provato ad informarsi sui disastri avvenuti nei due paesi –Belgio e Grecia- che nel passato hanno abolito la cosiddetta pianta organica (e che hanno fatto marcia indietro quando hanno visto che intere regioni erano rimaste scoperte perché tutti i titolari di farmacia si erano trasferiti nelle città)? Ha provato a parlare con i farmacisti greci nei piccoli paesi? Lo faccia, quasi tutti hanno studiato in Italia, e potranno dirle quali livelli di assistenza si possano garantire quando non si arriva alla fine del mese. Provi a vivere nell’entroterra greco, invece che a Milano, poi torniamo a discuterne. Proviamo a lasciare libero il numero delle farmacie, come da lei auspicato, poi vediamo a chi si potrà domandare di fare i turni notturni (gratuitamente) se i soldi per pagare i collaboratori non ci sono.
La pianta organica serve a garantire la capillare reperibilità del farmaco su tutto il territorio nazionale, e può essere garantita solo salvaguardando il bacino di utenza necessario alle farmacie per sopravvivere economicamente. Farla saltare vuol dire lasciare sguarnita metà dell’Italia, le zone montane, tutte le frazioni disagiate o sotto popolate.
Quando si augura la liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C (che non sono medicinali da banco, ma richiedono ricetta), immagino lei sappia che il prezzo di questi è stabilito per legge su tutto il territorio nazionale dall’Agenzia Italiana del Farmaco, e non dalle farmacie. Dunque, un numero maggiore di esercizi a cosa gioverebbe, dato che i prezzi non sono modificabili? Perché voi giornalisti continuate a ripetere questa grave inesattezza?
Sono certo che avrà ottime risposte a tutti questi miei dubbi. E poi, il giornalista ha sempre l’ultima parola e riesce agevolmente ad avere ragione.
Mi permetta però un consiglio: per fare bene il suo lavoro di giornalista, segua la regola che impone di informarsi e di valutare senza pregiudizi le posizioni diverse dalla sua”.

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