farmacieDi Francesco Palagiano

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Nonostante il settore delle farmacie sia stato oggetto di innumerevoli interventi legislativi del Governo Monti, che ha utilizzato a piene mani lo strumento della decretazione d’urgenza per modificarne profondamente le regole di riferimento, sembra che tutto ciò ancora non basti.

Bersani ha recentemente dichiarato che “l’attuale Governo aveva annunciato un piano di riforma delle farmacie poi, di fronte alle molte resistenze, ha fatto rapidamente marcia indietro. (…) Ma è evidente che un processo di maggiore liberalizzazione è auspicabile.”
Bersani si riferisce alla cosiddetta “liberalizzazione” della vendita dei farmaci compresi non mutuabili, detti anche di “Fascia C”, di cui vorrebbe consentire la vendita anche nelle parafarmacie e nei corner della GDO in cui è presente un farmacista. Egli basa il suo ragionamento sulla considerazione che i farmacisti che operano in tali strutture sono in possesso della medesima laurea dei titolari di farmacia, per cui non si capirebbe perché loro debbano limitarsi a vendere i farmaci SOP e OTC, e non possano trattare anche tutti i farmaci non mutuabili, vendibili dietro presentazione di ricetta medica. L’aumento dei punti vendita in cui si potrebbe acquistare i farmaci di Fascia C a pagamento favorirebbe poi la concorrenza, e romperebbe “l’odioso monopolio” operato dalle farmacie, e si avrebbero notevoli vantaggi per il cittadino.

A prima vista, è un ragionamento che non fa una grinza. Perché solo le farmacie convenzionate con il SSN devono avere il “privilegio” di poter vendere i farmaci di Fascia C, quando ci sono sul territorio altri farmacisti dotati della stessa laurea e della stessa abilitazione, operanti in parafarmacie e nei supermercati? Non è meglio “liberalizzare” tale vendita, consentendo anche ad altri professionisti abilitati di dispensare i farmaci prescritti su ricetta bianca, non rimborsati dal Ssn?
In realtà, l’attuale legislazione ha i suoi buoni motivi. Le farmacie territoriali sono semplici concessionarie di una licenza di esercizio, il cui vero titolare rimane lo Stato.

Il Legislatore ha infatti da sempre riservato allo Stato la titolarità dei servizi di particolare rilevanza per l’interesse pubblico, e indubbiamente la dispensazione al pubblico dei farmaci più delicati, per profilo di rischio, potenziali effetti collaterali, possibilità di uso improprio o pericoloso è un servizio in cui l’interesse prevalente deve essere quello di salvaguardare la salute pubblica. Tali considerazioni valgono a prescindere dal regime di dispensazione, cioè se i farmaci in questione siano rimborsati dal Ssn o se siano pagati in contanti dai pazienti. La ratio di questa scelta è da ricercare nei controlli e nelle possibili sanzioni che possono subire le farmacie in caso di gravi mancanze nella qualità del servizio reso, sanzioni che possono arrivare alla revoca della licenza. Tale orientamento è stato recentemente confermato dall’approvazione dell’art. 11 bis del decreto Balduzzi, che favorisce la decadenza dalla licenza delle farmacie i cui titolari si siano macchiati del reato di truffa allo Stato per un importo superiore ai 50.000 €, come a suo tempo disposto dal comma 811 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007. Si badi bene, è prevista la decadenza della licenza, non la perdita della possibilità di accettare ricette Ssn! Allo stesso modo, è prevista la decadenza dalla licenza per tutta una serie di altre mancanze nella qualità del servizio reso, alcune apparentemente veniali. Il Legislatore ha quindi riservato allo Stato il potere di selezionare i titolari di licenza, revocandola in caso di inadempienze ritenute inaccettabili per la qualità del servizio richiesto. Purtroppo, tale potere è stato esercitato troppo raramente, almeno sinora, ma ciò non giustifica chi vuole abolirlo del tutto.

Il decreto Bersani del 2006 ha consentito la vendita dei farmaci OTC e SOP, che costituiscono il gruppo di farmaci più conosciuti e collaudati, dotati di un profilo di rischio particolarmente vantaggioso, anche ai farmacisti che operino al di fuori delle farmacie convenzionate, in esercizi denominati parafarmacie e nei corner della Grande distribuzione Organizzata (GDO). Il Legislatore ha ritenuto che le caratteristiche di sicurezza dei farmaci interessati fossero sufficienti per declassarli a beni commerciali come tutti gli altri, vendibili sotto la responsabilità esclusiva di un qualsiasi laureato in farmacia. In questo modo però ha precluso allo Stato la possibilità di “espellere” dal servizio un eventuale professionista che si comportasse in modo indegno. In caso di comportamenti pericolosi per la salute pubblica non è neanche ipotizzabile la revoca della licenza della “parafarmacia” (come previsto per le farmacie), per il semplice fatto che non è prevista alcuna licenza per aprire una parafarmacia. Potrà intervenire solo l’Autorità giudiziaria, ma solo “ex post”, dopo il realizzarsi dell’eventuale danno causato dal comportamento scorretto.

La cosiddetta “liberalizzazione dei farmaci di Fascia C” è quindi solo apparentemente un’operazione che danneggia solo le vituperate farmacie convenzionate e che va a tutto vantaggio dei cittadini. In realtà è una misura che riduce drasticamente il potere di controllo dello Stato sulla qualità del Servizio farmaceutico. Ciò è vero soprattutto se si considera che l’entrata in vigore di una norma siffatta aprirebbe automaticamente le porte alla possibilità di vendere fuori dalla rete delle farmacie convenzionate anche i farmaci mutuabili, se il paziente li paga di tasca sua, facendo “saltare” definitivamente la possibilità per lo Stato di vigilare efficacemente sulla qualità del Servizio farmaceutico.

Per comprendere meglio i veri termini della questione, si può fare un parallelo tra farmacisti e gli appartenenti ad un altra categoria professionale, a cui i Titolari di licenza di farmacia sono stati già accomunati dal decreto Salva Italia: i tassisti.

Anche nel caso del Servizio di trasporto di persone mediante auto pubblica, il Legislatore ha riservato la titolarità del servizio alla parte pubblica (in questo caso, i Comuni), che la danno in concessione a chi ha determinati requisiti (tra cui la patente di guida) e supera un concorso. In questo modo, in caso di comportamenti scorretti l’Autorità pubblica può revocare la licenza e attribuirla ad altro aspirante (ciò è previsto da tutti i regolamenti comunali che ho consultato), con la ragionevole speranza che costui si dimostrerà più meritevole.

Come mai, in questo caso, nessuno si sogna di invocare la “liberalizzazione” del servizio, in modo che tutti i cittadini in possesso dell’abilitazione alla guida, e magari di un’auto adeguata, possano trasportare in giro per le nostre città chi lo desidera? Chi svolge ugualmente tale attività è considerato giustamente un abusivo, e rischia pesanti sanzioni, senza che ciò causi scandalo nei nostri politici e nell’opinione pubblica.

Il servizio di autopubblica è nel suo insieme svolto solo da titolari di licenza revocabile in caso di indegnità, per tutelare la qualità del Servizio.
Non ricordo interventi dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, che siano andati nella direzione della “liberalizzazione” del settore delle autopubbliche, contro gli assurdi privilegi feudali dei tassisti. E ciò nonostante questa misura porterebbe indubbi vantaggi in termini di costi per i trasportati, perché colpirebbe “‘l’odioso monopolio” costituito dalla retrograda lobby dei tassisti concessionari di licenza, e consentirebbe a tutti i patentati con una bella auto di svolgere liberamente un’utile funzione pubblica.

Forse la qualità del Servizio di trasporto di persone mediante auto pubblica merita maggiore tutela del Servizio di dispensazione dei farmaci?

Fonte Il Sole 24 Ore

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