L’Inail, in una nota del 17 marzo, ha reso noto che «i contagi da nuovo Coronavirus di medici, infermieri e altri operatori dipendenti del Servizio sanitario nazionale e di qualsiasi altra struttura sanitaria pubblica o privata assicurata con l’Inail, avvenuti nell’ambiente di lavoro o a causa dello svolgimento dell’attività lavorativa, sono tutelati a tutti gli effetti come infortuni sul lavoro». Ciò in quanto «si presume il nesso causale con le mansioni svolte», anche in caso di contagi «avvenuti nel percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro, che si configurano quindi come infortuni in itinere».

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La domanda però è: quando si parla di «operatori di qualsiasi altra struttura sanitaria pubblica o privata» si pensa anche ai farmacisti? Abbiamo posto il quesito a Silvia Di Domenico, commercialista: «In prima battuta – spiega l’esperta – si può senz’altro rilevare come la professione di farmacista sia considerata una professione sanitaria, peraltro soggetta al conseguimento di abilitazione e iscrizione nel relativo albo professionale». Inoltre, «la farmacia è considerata una struttura sanitaria integrata nel SSN che svolge il servizio farmaceutico, e in particolare conserva i farmaci, li dispensa ai clienti pazienti, ed entra a far parte a pieno titolo e con un preciso ruolo di responsabilità, tra gli altri, nel sistema della farmacovigilanza. Il rapporto con il Ssn è istituito e regolato da una convenzione nazionale, che vincola al Ssn e ai doveri e ruoli previsti per le farmacie, sia quelle pubbliche sia quelle private. Sul piano del singolo professionista, ricorre inoltre l’obbligo di giuramento, adesione e rispetto del Codice Deontologico previsto, indipendentemente dal ruolo di titolare di farmacia o di collaboratore dipendente, e anche al di fuori dell’esercizio della professione».

Nel merito della nota dell’Inail, secondo Di Domenico, essa «dovrebbe derivare da quanto ha previsto da ultimo il decreto legge del 17.03.2020 n. 18, c.d. ”Cura Italia” che all’art. 25 recante “Misure urgenti per la tutela del periodo di sorveglianza attiva dei lavoratori del settore privato” ha previsto, in via generale, per i lavoratori del settore privato, che il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva è equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non è computabile ai fini del periodo di comporto».

Secondo l’esperta, dunque, sebbene possa essere auspicabile da parte dell’Inail un riferimento più esplicito ai farmacisti, «si può però senz’altro ammettere come le modalità di svolgimento del lavoro in questo periodo nelle farmacie, in una situazione di generalizzata e diffusa di mancanza di un sicuro e costante accesso ai DPI (e a quelli “rafforzati”) esponga tali operatori al rischio di contagio non solo nell’ambiente di lavoro, o a causa dello svolgimento nello specifico della loro attività lavorativa, ma anche in itinere, dovendo gli stessi continuare a circolare per le ragioni legate al raggiungimento del posto di lavoro per un’attività che è stata ovviamente obbligata a continuare ad operare».

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