cessione farmacia contro rendita vitaliziaa cura di Dr. Marino Mascheroni Studio Mascheroni – Milano

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Non si ferma la guerra contro la cessione di farmacia contro la rendita vitalizia tanto da fare indurre che codesto strumento pluri utilizzato per ottenere il passaggio generazionale della farmacia sia ora sepolto.
La tesi sostenuta dall’Amministrazione finanziaria e ora anche da molta parte della dottrina è che siano rilevanti fiscalmente, seppur a livello solamente periferico, sia la plusvalenza emergente in sede di cessione che la successiva percezione delle rate della rendita: inoltre, tale questione è molto dibattuta anche alla luce del divieto di doppia imposizione espressamente previsto dal nostro ordinamento tributario. La sentenza n. 5886 dell’8 marzo 2013  della Corte di Cassazione offre però lo spunto per fornire un quadro di sintesi su un tema che pare, almeno per quanto attiene la giurisprudenza di legittimità, aver trovato un consolidato indirizzo: in tale sentenza la Cassazione provvede a ribadire un principio ormai consolidato, affermando che nel caso di una cessione d’azienda a fronte della costituzione di una rendita vitalizia è configurabile una plusvalenza tassabile, il cui valore è definibile in base a calcoli attuariali, secondo criteri riconosciuti dall’ordinamento giuridico. Infine, la sentenza conclude sottolineando che nel caso di specie non si configura una doppia imposizione.

Indi nella cessione di farmacia contro costituzione di una rendita vitalizia il cedente pagherebbe le imposte sulla plusvalenza come in una normale cessione ( 43% circa) e in più annuale le imposte sulla rendita percepita ancorché codesta e’ l’unica erogazione fatta a suo favore.

Le problematiche come sottolinea noto giurista tributario (F. Pepe) sarebbero tre in contrasto una con l’altra:
Essa integra una doppia imposizione e quindi vietata dall’art. 163 del TUIR;
Come determina il valore della plusvalenza da tassare , atteso che l’ammontare della rendita non e’ quantificabile all’atto di cessione della farmacia dipendendo esso da un evento incerto nel quanto ( la vita del farmacista cedente)
Se ed in che modo attribuire rilevanza fiscale ai soli scarti intercorrenti tra la rendita approssimativamente determinata all’atto di cessione e la rendita effettivamente percepita che oggettivamente e’ quantificabile solo alla morte del vitaliziato.

Il “prestare attenzione” a dare origine a codesto tipo di atto deriva dal fatto che a fianco della Cassazione anche parte della dottrina esclude che codesta fattispecie dia origine ad una doppia imposizione fiscale. Infatti codesti autori rilevano che nella cessione vitaliziata di farmacia vi siano due differenti prelievi aventi ad oggetto forme di ricchezza ben distinte e quindi non sovrapponibili.

Secondo codesta dottrina si afferma che la tassazione della plusvalenza colpirebbe l’avviamento commerciale mentre la tassazione della rendita colpirebbe il “frutto” derivante dall’impiego del capitale azienda ( che noi osiamo dire che non esiste in quanto il corrispettivo e’ dato dalla sola rendita”

Ma la doppia imposizione a noi sembra palese e ci ragioniamo con un semplice esempio:

Cessione farmacia senza rendita per € 1.000.000,00 il cedente pagherà imposte per circa € 430.000,00 incassandone € 1.000.000,00
Cessione farmacia per € 1.000.000,00 con rendita di € 100.000 il cedente non percepirà’ nessun corrispettivo e pagherà sempre i € 430.000,00 e inoltre annualmente le imposte ordinarie sui 100.000 euro di rendita.

Ora l’inquadramento stride e stride ancor di più oggi se si rammenta che sino al 2000 le imposte sulla rendita colpivano solo il 60% della stessa ( vecchio art. 48 bis Tuir), oggi l’art. 52 co 1, lett. C) ne prevede la tassazione integrale: e’ caduta la principale argomentazione e arma di difesa che giurisprudenza e parte di dottrina utilizzavano per negare la sussistenza di un a doppia imposizione fiscale.

Vieppiù le due fattispecie impositive coinvolte – plusvalenza patrimoniale e rendita vitalizia sono collocate in un contesto impositivo palesemente omogeneo: entrambe sono soggette ad Irpef.

E evidente, allora, che il requisito della certa esistenza della plusvalenza e della consequenziale determinabilità del suo valore, nell’ipotesi di vitalizio, non può essere considerato soddisfatto come sostiene la dottrina dualistica citata.

Intatti, ai fini dell’imposizione diretta, il principio della certezza è obiettivamente incompatibile con la natura aleatoria della rendita ritenendo impossibile determinare l’esistenza o meno di una plusvalenza, essendo impossibile individuare la durata del contratto, perché, a sua volta, è legata alla durata della vita del cedente.
Considerato, inoltre, che se fosse accettata la tesi dualistica , nel caso in cui la rendita vitalizia fosse corrisposta, per brevissimi periodi, a causa del decesso dello o degli aventi diritto, paradossalmente ci si troverebbe di fronte a una minusvalenza le cui risultanze sarebbero, in ogni modo, inaccettabili.

Il punto focale sembra quindi propria la natura civilistica della rendita cioè l’alea.
Requisito essenziale del contratto di costituzione di rendita vitalizia a titolo è costituito dall’alea, la quale presuppone che il vitaliziato non sia affetto da una malattia che, per natura e gravità, renda certa o estremamente probabile la sua prossima morte, e deve obiettivamente sussistere al momento della conclusione del contratto. Quest’ultimo è affetto da nullità anche quando le parti erano in buona fede al momento della sua sottoscrizione ed abbiano, erroneamente, ritenuto la sussistenza dell’alea. L’indagine sulla aleatorietà, che è elemento essenziale del contratto di rendita vitalizia a titolo oneroso mediante alienazione di una azienda , e ne costituisce propriamente la causa, va condotta con riferimento al momento della conclusione del contratto in base al requisito della “equivalenza del rischio”. Si devono ben valutare ed apprezzare sia l’entità della rendita in rapporto ai frutti ricavabili dal cespite ceduto e sia la possibilità di sopravvivenza del vitaliziato. Questi elementi non devono essere tali da consentire un’anticipata previsione dei vantaggi e delle perdite dei contraenti. Inoltre, si richiede per la validità del contratto un’oggettiva situazione di incertezza dei vantaggi e degli svantaggi dei contraenti al momento del contratto, collegata ad una imprevedibile durata della sopravvivenza del vitaliziato.
Ciò che manca come tassello e’ come al solito l’armonizzazione tra disciplina civilistica e attesa erariale o, vi e’ da confidare indi solo in una rilettura maggiormente disinteressata del legislatore fiscale e piu’ attenta alla natura di codesto istituto che non ammette deroghe.

Dr. Marino Mascheroni – Studio Mascheroni – Milano

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