operato del commercialistaUn contribuente ha indicato nella propria dichiarazione dei redditi dell’anno 2002 un credito di imposta maturato nell’anno 2001, per il quale non risultava pervenuta la relativa dichiarazione. Quest’ultima avrebbe dovuto essere inviata dal commercialista, ma lo stidio non aveva provveduto alla trasmissione. Pertanto, l’Agenzia delle Entrate aveva emesso una cartella di pagamento, partendo dal presupposto che vi fosse stato un comportamento negligente del contribuente, il quale, avendo affidato la propria dichiarazione dell’anno 2001 ad un intermediario, non aveva vigilato sull’effettiva consegna della stessa e non aveva richiesto l’attestazione dell’avvenuta ricezione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate.
Il contribuente ha quindi proposto ricorso, ma la commissione tributaria di Ferrara lo ha rigettato. La commissione regionale ha però ribaltato l’interpretazione, dandogli ragione. La querelle è finita in tribunale e quindi in Corte di Cassazione: quest’ultima ha ricordato una sentenza del 2017, secondo la quale «in tema di sanzioni per le violazioni di disposizioni tributarie, la prova dell’assenza di colpa grava, secondo le regole generali dell’illecito amministrativo, sul contribuente, il quale, dunque, risponde per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del professionista incaricato della relativa trasmissione telematica ove non dimostri di aver vigilato su quest’ultimo». Inoltre, «in senso conforme si rinvengono numerose pronunce di questa Corte, che escludono la responsabilità del contribuente, che si sia avvalso di un intermediario per la trasmissione in via telematica della dichiarazione, solo in caso di comportamento fraudolento di quest’ultimo».
Applicando tali principi, i giudici hanno accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, e ha rinviato la questione ad una nuova valutazione della commissione tributaria dell’Emilia Romagna. Ciò anche tenendo conto del fatto che quest’ultima «non ha spiegato perché, nell’escludere la responsabilità del contribuente, non ha tenuto conto del fatto che quest’ultimo non risultava aver acquisito la copia della comunicazione dell’Agenzia attestante l’avvenuta ricezione dei dati», mentre «il giudice di appello non ha motivato in maniera adeguata sulle ragioni per le quali ha ritenuto che l’Amministrazione non avrebbe dovuto negare al contribuente il riconoscimento del credito di imposta, anche in caso di sua negligenza».

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