
«Abbiamo ribadito – ha proseguito Ruggiero – la necessità di trovare una soluzione più equa per i colleghi. Ricordando che il contributo Enpaf impatta sui redditi delle parafarmacie per il 26%, contro l’8% delle farmacie». In proposito è stato precisato dal dirigente che «i titolari di parafarmacia e farmacia, pagano la stessa somma per i contributi Enpaf, che nel 2018 equivale a 4521 euro, anche se la differenza di redditi tra le due attività è abissale. Abbiamo inoltre nuovamente segnalato che urge una riforma in grado di parametrare i contributi al reddito degli iscritti, in modo progressivo. A tal proposito, ho notato l’interesse del tavolo al metodo “contributivo”, ma con delle regole ben precise, ad esempio partire da una base minima fissa e una variabile sul fatturato. Questo per garantire almeno una pensione minima agli iscritti che hanno redditi bassi». Il dirigente ha inoltre evidenziato «l’esigenza di trovare una soluzione per il contributo di solidarietà, soprattutto per i disoccupati. Esso è utilizzato da 26.000 iscritti su 97.000 totali, il 26%. Per quanto riguarda poi la proposta di slegare l’iscrizione Enpaf da quella all’Ordine dei farmacisti, è necessario un intervento legislativo, così come per intervenire sullo 0,90. L’Enpaf ha spiegato che quest’ultimo non è altro che un contributo previsto da una legge dello Stato, destinato a tutta la previdenza di categoria in cambio della norma che nel 1977 abrogò le disposizioni che imponevano alle farmacie lo sconto sul prezzo al pubblico delle specialità medicinali a carico degli enti mutualistici».
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