«Siamo di fronte all’ennesimo slogan che più viene ripetuto più rimanda l’attuazione di ciò che esso descrive?». È quanto si chiede Francesco Schito, segretario Assofarm, in un editoriale pubblicato sull’house organ della sigla. Secondo il dirigente, «la storia recente della farmacia italiana è ricca di vicende finite così, di grandi temi presenti nelle dichiarazioni di tutti eppure mai diventati realtà. Non vorremmo che la stessa cosa avvenisse oggi con la Farmacia dei servizi. Per oltre dieci anni, i servizi in farmacia hanno appunto seguito questa parabola. Dalla Legge 69 dell’ormai lontano 2009 in poi si è sempre genericamente parlato di servizi, senza che nulla sia mai accaduto. Così fino alla pandemia».

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Preoccupazione per «assenza di approfondimenti sui numeri»

Per Schito «è stata, infatti, la crisi sanitaria del Covid-19 a ridare vera sostanza ai servizi in farmacia, visti come un tassello del più ampio rilancio della sanità territoriale». Legame, quest’ultimo, rimarcato recentemente anche dal ministro della Salute Orazio Schillaci. Nelle sue parole, «la sanità territoriale italiana di domani dovrà puntare sulle reti dei medici di medicina generale e, appunto, sulle nuove erogazioni delle farmacie». Il dirigente ha sottolineato che «le parole del ministro ci rassicurano sul fatto che certe prospettive emerse negli ultimi anni e largamente condivise da quasi tutto il mondo sanitario italiano siano ancora oggi nell’agenda delle istituzioni. A preoccuparci è invece la generale assenza di approfondimenti sui numeri che dovrebbero sostanziare questa evoluzione epocale del settore».

Remunerazione dei servizi in farmacia

Come si legge nella nota, «se telemedicina, vaccinazioni, collaborazioni con altri professionisti sanitari sono ormai concetti “di casa” nel dibattito di settore, non si può dire lo stesso sui meccanismi che dovrebbero remunerare la loro erogazione. Questi servizi richiedono strumentazioni e spazi. Investimenti che, senza dati certi sulle entrate derivanti dalla loro dispensazione, ben pochi farmacisti sono disposti a fare. Il recente caso del protocollo regionale in Emilia Romagna, che nulla dice sulle remunerazioni, è perfettamente rappresentativo di tutto ciò. E così i farmacisti attendono prudentemente l’evolversi dei fatti. Senza rassicurazioni economicamente concrete che dimostrino come i servizi contribuiranno a dare maggiore sostenibilità economica alla farmacia, questa partita rischia di perdere per strada il soggetto che più di ogni altro voleva giocarla».

I nodi da sciogliere

«In attesa che questi nodi vengano sciolti dalle Istituzioni centrali e dalle Regioni che via via prenderanno parte ai tavoli negoziali, dovremmo tutti impegnarci nell’attuazione di servizi che non richiedano gli impegni logistici prima menzionati», prosegue Schito. «Un esempio di ciò potrebbero essere iniziative di home delivery di farmaci che tradizionalmente sono ad appannaggio della distribuzione diretta, ma la cui complessità dispensativa potrebbe essere compatibile anche con il canale della farmacia territoriale. Pensiamo in particolare ai Nao, agli antidiabetici, a farmaci per asma e Bpco, ad antipsicotici e antiparkinson». Nella nota si legge che «se da un lato parteciperemo senza indugi a ogni progetto sperimentale in tal senso, riteniamo invece che per una loro stabilizzazione sistemica servano due precondizioni che da tempo ormai consideriamo imprescindibili: un nuovo sistema di remunerazione del farmacista che valorizzi queste dimensioni di servizio e un’adeguata formazione dei professionisti sulla dispensazione di farmaci oggi assenti dalla loro pratica quotidiana». In tale direzione, Schito ha sottolineato che «chi segue l’impegno di Assofarm sa certamente che queste sono le posizioni ormai tradizionali della nostra federazione. Ben più inedito è invece il clima politico attorno a noi, assai migliore del passato. La contrapposizione tra sostenitori della distribuzione diretta e quelli della Dpc è andata via via perdendo nettezza, e oggi prevale in entrambi i fronti un atteggiamento di sintesi volto a dare priorità massima ai bisogni del cittadino e a garantire sostenibilità economica a tutta la filiera».

Le diverse opzioni distributive territoriali

Infine, Schito ha rimarcato che «se, da un lato, il passaggio di alcuni farmaci a opzioni distributive più territoriali non è più un tabù per nessuno, dall’altro tutti condividono il fatto che in futuro le farmacie ospedaliere continueranno a dispensare la gran parte dei farmaci già oggi nelle loro disponibilità. Sembra insomma essere sempre più condivisa la posizione secondo cui, solo per quanto tecnicamente possibile, avremo un ampliamento della distribuzione territoriale dei farmaci. E che questa distribuzione avverrà tramite le farmacie invece che attraverso grandi logistici generalisti». Alla luce di quanto evidenziato, secondo Schito «tutti noi dovremo sostenere con generosità questo cammino. Se anche una sola delle parti in gioco cederà alle solite tentazioni dell’attendismo o del piccolo interesse di parte, tutto potrebbe fermarsi».

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