L’Associazione nazionale professionale farmacisti non titolari (Conasfa) riporta l’intervista a una farmacista collaboratrice che racconta la sua esperienza professionale, mettendo in luce una serie di difficoltà che, secondo Conasfa, sono alla base della crisi dei farmacisti collaboratori in atto. «In barba all’immaginario comune, che vuole il farmacista statico, rigoroso e conservatore – si legge in una nota dell’Associazione –, questa figura ha saputo nuotare in burrasca, ha dimostrato e dimostra quotidianamente capacità di adattamento, reinventandosi, trasformandosi e formandosi, ricoprendo ruoli diversi, non suoi, per tamponare falle di un Sistema sanitario che ancora oggi stenta a riconoscerne valore e meriti. Ma tutto questo ha un prezzo. Ora la falla si sta aprendo all’interno. C’è crisi di farmacisti. E il sistema rischia di cedere». L’intervista a una farmacista che, per privacy, viene chiamata solo Giulia, spiega le cause alla base di questa crisi.

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Una professione sempre più complessa

Giulia è una farmacista full time, mamma di un bambino. Lavora dal lunedì al sabato, con due mezze giornate libere e, se di turno, domenica e festivi. Percepisce 1.500 euro netti al mese. «Svolgo qualsiasi tipo di mansione – racconta – dal magazzino, alle analisi, telemedicina, tamponi e per finire i vaccini. Nonostante questo non mi è ancora stato nemmeno riconosciuto il famoso livello Q2 tanto decantato. Ma poco male. La differenza ammonterebbe a circa 70 euro». Giulia parla poi delle difficoltà nella gestione del figlio, perché non ha la possibilità di assentarsi dal lavoro o di ridurre l’orario, né può contare su permessi dedicati in caso il bambino si ammali. Si trova quindi a chiedere spesso aiuto ai nonni e a pagare una tata. «Per arrivare a offrire il servizio che offro ogni giorno ho studiato, mi sono formata e lo faccio ancora oggi – prosegue il suo racconto –. Con impegno, investendo tempo e a volte anche denaro. La nostra formazione è perennemente fuori orario lavorativo, spesso di sera dopo una giornata lunghissima. Quello è altro tempo tolto alla famiglia, alla mia vita privata. Ma non riconosciuto».

Da professionisti del farmaco a professionisti della salute

La farmacista sottolinea poi il grande cambiamento affrontato negli ultimi due anni dalla categoria, di cui lamenta il mancato riconoscimento. «In questi due anni – afferma – ho visto riconoscere meriti a figure sanitarie che hanno prestato il loro servizio abituale, ma sicuramente in modo più sostenuto. Per la mia categoria è stata invece una vera e propria rivoluzione. Noi eravamo professionisti del farmaco. Ora siamo professionisti della salute a 360 gradi. Allora mi chiedo: perché non c’è un riconoscimento concreto? Contrattuale e remunerativo? Perché è così complicato avere diritti oltre che doveri? Serve un rinnovo contrattuale serio, un contratto sanitario, un aumento ragionevole della paga salariale minima, attualmente secondo me per nulla congrua al servizio prestato e alle ore lavorate. Orari adeguati e tutele. Meno tasse a gravare sui titolari in modo da incentivare assunzioni. I tempi cambiano e le esigenze anche. Noi adeguiamo la professione e la professionalità e chi di dovere dovrebbe adeguare i riconoscimenti».

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