I pazienti anziani con insufficienza cardiaca che vedono un farmacista una volta alla settimana hanno maggiori probabilità di assumere le compresse ed essere maggiormente attivi nella vita quotidiana. È quanto rileva lo studio «Pharmacy-based interdisciplinary intervention for patients with chronic heart failure: results of the PHARM-CHF randomized controlled trial», pubblicato lo scorso maggio sulla rivista scientifica European Journal of Heart Failure, edito dalla Società europea di cardiologia (Esc). Come è noto, la non aderenza alla terapia può manifestarsi grazie al mancato ritiro dei farmaci prescritti, l’assunzione di una dose inferiore a quella prescritta, alle cosiddette “vacanze farmacologiche”, ovvero la sospensione della somministrazione durante i fine settimana o appena ci sente meglio, o infine all’interruzione completa di uno o più farmaci.

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Lo studio in questione, denominato PHARM-CHF, ha esaminato se la pratica di visitare regolarmente un farmacista migliora l’aderenza ai farmaci nel particolare caso specifico dell’insufficienza cardiaca. Ciò mediante il coinvolgimento di 237 pazienti con tale patologia, di età pari o superiore a 60 anni, seguiti per una media di due anni. Nello specifico, l’attività di ricerca è iniziata con la revisione dei medicinali somministrati. I pazienti hanno portato i loro farmaci ad un farmacista che ha elaborato un piano terapeutico, ha verificato le interazioni farmacologiche ed eventuali doppi farmaci ed ha contattato il medico per qualsiasi eventuale rischio rilevato. I pazienti hanno visitato la farmacia ogni 8-10 giorni per parlare di aderenza e sintomi, ma anche per eseguire misurazioni di pressione sanguigna e frequenza cardiaca. Quanto alla modalità di dispensazione, i farmaci venivano dispensati in una pilloliera, ripartiti in scomparti per la mattina, il mezzogiorno, la sera ogni giorno. Il farmacista ha aggiornato puntualmente il piano terapeutico e, quando necessario, ha contattato il medico segnalando eventuali nuovi problemi legati alla somministrazione dei farmaci o cambiamenti significativi dei parametri vitali rilevati durante gli accessi.

Ebbene, rispetto alle normali cure, l’intervento ha comportato un significativo aumento assoluto della percentuale di pazienti aderenti, variata dal 44% all’86% nel gruppo di farmacie e dal 42% al 68% nel consueto gruppo di controllo, mostrando una significativa differenza di punti del 18% tra i gruppi. I pazienti nel gruppo di farmacie avevano tre volte più probabilità di diventare aderenti rispetto al solito gruppo di cura. Inoltre, lo studio ha evidenziato che il miglioramento della qualità della vita era più pronunciato nel gruppo di farmacie dopo un anno e significativamente migliore rispetto al solito gruppo di cura dopo due anni. Ciò significava che i pazienti nel gruppo di farmacie erano meno limitati nelle loro attività quotidiane e meno preoccupati per la loro malattia.

«L’aderenza a un regime terapeutico complesso – evidenzia Martin Schulz, professore associato presso il Dipartimento di Farmacia Clinica, Freie Universitaet di Berlino, Germania, è una grande sfida per i pazienti anziani con insufficienza cardiaca. Si stima che dal 30% al 50% dei pazienti in Europa siano non aderenti ai farmaci per l’insufficienza cardiaca, il che si traduce in un aumento della frequenza e della gravità dei sintomi come affanno, peggioramento dell’insufficienza cardiaca e conseguenti ricoveri ospedalieri e mortalità più elevata». Ne consegue che, alla luce di quanto evidenziato, «i pazienti dovrebbero vedere il farmacista ogni settimana per tutta la durata dei benefici per continuare. Il punto chiave è che le visite in farmacia devono essere usato come un’opportunità per fornire assistenza strutturata». Per questo motivo, conclude  Schulz, «cardiologi e medici di medicina generale apprezzerebbero questo tipo di intervento poiché non modifica i farmaci prescritti ma aiuta i pazienti a seguire il trattamento».

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