
I tre esperti spiegano, in un articolo pubblicato sulla rivista Nature Reviews, in Clinical Oncology, che si potrebbe immaginare un nuovo approccio, battezzato “Drug Repurposing”: un metodo che potrebbe garantire opportunità uniche sia per i pazienti che per i sistemi sanitari nazionali. I farmaci ai quali verrebbe garantita una “nuova vita” potrebbero infatti essere affiancati ai medicinali anti-cancro, ovvero alle cosiddette “targeted terapies”, ancora non innumerevoli, spesso costose e frutto di lunghi e complessi processi di selezione delle molecole, nonché di validazione clinica.
Gli esempi non mancano: dalla talidomide, vecchio farmaco riutilizzato per la cura del mieloma multiplo, all’aspirina, visti i risultati nella prevenzione del carcinoma al colon. Ma anche la metformina, allo studio per un eventuale impiego nella cura del carcinoma al seno. «Questo non significa – ha sottolineato Bertolini all’agenzia di stampa – che il drug discovery debba essere abbandonato, ma che una strategia complementare può contribuire a rispondere al bisogno pressante di farmaci anticancro in Italia come nel resto del mondo». «La continua riduzione del costo del sequenziamento del genoma – conclude l’oncologo – sta infatti rendendo possibile la nuova frontiera della “Precision Medicine”. Le speranze dei pazienti ammalati di cancro non sono mai state così alte, ma i ricercatori e i medici devono far fronte a uno scenario inedito, caratterizzato da costi alle stelle per lo sviluppo di nuovi farmaci e da processi lunghi e articolati per gli studi clinici».
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