I risultati dello studio di Fase 3 Potomac, a cura di AstraZeneca, presentati in sessione late-breaking al Congresso 2025 della European society for medical oncology a Berlino e pubblicati su The Lancet, hanno indicato che l’integrazione di durvalumab al regime terapeutico standard con Bacillus Calmette-Guérin apporta un beneficio clinicamente rilevante nella sopravvivenza libera da malattia per pazienti affetti da carcinoma vescicale non muscolo-invasivo ad alto rischio e non precedentemente trattati con Bcg. L’analisi finale, condotta su un follow-up mediano di 60,7 mesi, ha dimostrato un miglioramento statisticamente significativo nell’endpoint primario rispetto alla sola terapia con Bcg.

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Prospettiva terapeutica in un ambito di cura ad intento radicale

Secondo Lorenzo Antonuzzo, direttore dell’Oncologia Medica Careggi dell’Università di Firenze, «il trattamento standard per i pazienti con tumore della vescica non muscolo invasivo ad alto rischio prevede l’utilizzo della terapia con Bcg, dopo la resezione transuretrale della neoplasia. L’obiettivo è ridurre il rischio di recidive locali, ma si verifica ancora un’alta percentuale di ricadute, che possono portare a interventi chirurgici ripetuti e trattamenti più invasivi, compresa la rimozione della vescica, con un profondo impatto sulla qualità di vita dei pazienti. Da qui l’esigenza di nuove opzioni di cura. I risultati dello studio Potomac dimostrano che l’aggiunta di durvalumab, per 12 mesi, alla terapia di induzione con Bcg è in grado di ridurre il rischio di recidiva del 32%, consentendo a un maggior numero di pazienti di rimanere vivi e liberi da malattia dopo due anni».

«Più concreta la possibilità di guarigione anche in pazienti ad alto rischio di recidiva»

Per Antonuzzo, dunque, «è una vera innovazione, in un setting di pazienti trattati a intento curativo, in cui non si registravano progressi da almeno un decennio. Diventa così più concreta la possibilità di guarigione anche in pazienti ad alto rischio di recidiva. Anche da un punto di vista psicologico, il termine di un anno della cura è davvero importante per le persone colpite dal tumore. Gli importanti risultati dello studio Potomac si aggiungono ai risultati positivi dello studio Niagara, che ha dimostrato efficacia nei suoi endpoint, tra cui la sopravvivenza globale positiva nel setting del tumore della vescica muscolo-invasivo, confermando l’efficacia di durvalumab in questa patologia. In Italia è inoltre attivo un expanded access program, cioè un programma di accesso precoce, per il trattamento dei pazienti con malattia muscolo-invasiva».

Neoplasia diffusa, quinta per incidenza nella popolazione in Italia

Massimo Di Maio, presidente eletto Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), ha spiegato che «il tumore della vescica è una patologia estremamente diffusa e rappresenta la quinta neoplasia per incidenza nella popolazione in Italia, con circa 31mila nuovi casi stimati nel 2024. Oltre il 70% dei casi, alla diagnosi, è di tipo non muscolo-invasivo. È, cioè, confinato agli strati più superficiali della parete vescicale e non raggiunge la tonaca muscolare della vescica. Nella gestione della malattia e per garantire il miglior percorso terapeutico, è fondamentale il team multidisciplinare, che deve comprendere, tra gli altri, il radiologo, il chirurgo, l’oncologo, l’urologo e l’anatomo patologo. Le prospettive aperte dalla combinazione dell’immunoterapia con la terapia standard Bcg implicano ricadute rilevanti anche sotto il profilo organizzativo. Oggi i pazienti con malattia non muscolo-invasiva ad alto rischio, nella maggior parte dei centri, sono gestiti solo dagli urologi, perché i trattamenti endovescicali, in particolare la terapia con Bcg, sono eseguiti negli ambulatori di urologia. In futuro, l’integrazione fra l’oncologia e l’urologia diventerà fondamentale, per garantire ai pazienti l’accesso all’innovazione costituita dalla combinazione dell’immunoterapia con la terapia standard».

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