La recente approvazione da parte della Regione Campania della graduatoria rettificata riapre il dibattito sulle dinamiche legate alla sostenibilità economica e sociale delle farmacie territoriali su tutto il territorio nazionale. Nello specifico, alla luce dell’andamento negativo dei fatturati Ssn, solo in parte compensati dalla spesa out of pocket e da altri settori merceologici, è giusto chiedersi o meno se con l’incremento dei punti di dispensazione sul territorio il sistema veda un ulteriore indebolimento limitando la capacità economica delle singole attività, sia quelle già presenti, ma anche quelle nuove. FarmaciaVirtuale.it ne ha parlato con Maurizio Manna, presidente di Credifarma e dell’Ordine dei Farmacisti di Benevento, con la finalità di mantenere alta l’attenzione sulla tematica.
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I posti di lavoro vengono creati o si spostano?
«Più farmacisti collaboratori che si associano tra di loro e vincono una sede farmaceutica, di fatto non generano più posti di lavoro poiché restano singole unità lavorative che “spostano” il loro tipo di attività. Cambia tuttavia il rapporto con il lavoro stesso e, per così dire, la sua qualità: non si tratta più di farmacisti collaboratori ma titolari, generando dunque maggior valore per se stessi e per il sistema. Inoltre, il fenomeno non si esaurisce qui perché certamente i nuovi titolari avranno bisogno di altre figure, tra cui altri farmacisti e addetti al magazzino. Sono del parere che il “bilancio” risultante registrerà un incremento complessivo dell’occupazione».
Se l’andamento della spesa farmaceutica Ssn è in flessione e viene solo in parte compensato dalla vendita libera, in che modo possono crearsi nuovi posti di lavoro se il fatturato globale la cui crescita è anelastica viene suddiviso su un più alto numero di player sul mercato?
«È evidente che all’incremento del numero di farmacie ottenuto con la legge Monti deve necessariamente corrispondere un’inversione della politica nazionale sul tema dell’assistenza farmaceutica. Per anni abbiamo subìto la sistematica contrazione dei finanziamenti nazionali da parte del Ssn. Ciò mediante una serie di formule di controllo e limitazione, tra cui la nascita di nuove note limitative, la genericazione dei principi attivi, ma soprattutto con la “madre” di tutti i tagli, la 405/2001, che ha espropriato la farmacia territoriale dello stesso “oggetto sociale” della sua attività: il farmaco. Tali tagli hanno inevitabilmente prodotto nuove insostenibilità creando un circuito vizioso negativo che ha ridotto di fatto la capacità di servizio della farmacia italiana. Dopo l’apertura di centinaia di farmacie (negli ultimi tre anni se ne sono aperte una al giorno), è il momento che lo Stato si dedichi a incrementare l’assistenza farmaceutica sul territorio, e ciò mediante ulteriori investimenti.
Nello specifico?
«Nonostante il periodo non proprio roseo, sembrerebbe che lo Stato abbia capito l’importanza delle farmacie stanziando un finanziamento in favore della Farmacia dei sevizi: 82 milioni per un quinquennio assegnati a 20 regioni, 11 in più rispetto a quelle previste inizialmente. Credo che lo Stato sia consapevole del fatto che investire su temi legati all’assistenza alla cronicità e quindi alla prevenzione, liberi risorse e vada in favore della sostenibilità».
Si può calcolare il risparmio sulla spesa globale derivante dall’operato delle farmacie territoriali?
«Lo studio portato a termine dal Pdta Lab ha evidenziato che con la sola presa in carico del paziente si potrebbe arrivare a risparmiare due miliardi e mezzo di euro. Risorse che lo Stato può investire nel miglioramento dell’assistenza sanitaria nel suo complesso. In sostanza, il lavoro evidenzia che quando non c’è una buona riconciliazione delle terapie, quando non c’è buona aderenza, quando ci sono recidive, ricadute, aggravamenti della salute del paziente, tutto ciò ricade sulle spalle dello Stato in termini di maggiori costi di assistenza ospedaliera.
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