francesco-schito-assofarm«In Italia si è parlato dell’apertura al capitale nei termini di un aut-aut: o si lascia tutto in mano alla lobby dei piccoli farmacisti privati e delle municipalizzate spreca-soldi, oppure si apre il settore alle grandi aziende portatrici di razionalizzazioni e meritocrazie tipiche del libero mercato». Francesco Schito, segretario generale di Assofarm riassume così il dibattito degli ultimi mesi sull’ingresso delle società di capitale nel settore. Ricordando però che un’alternativa sarebbe stata possibile: «Quanto sta accadendo nella vicina Francia ci ricorda che il rilancio della farmacia territoriale non deve necessariamente passare per un’apertura incondizionata al mercato. Il pubblico può ancora giocare un ruolo».
Un lungo confronto tra le sigle sindacali transalpine e il governo di Parigi ha portato infatti ad una legge per il consolidamento delle farmacie sul territorio. «Il provvedimento arriva in un Paese nel quale fenomeni come la fuoriuscita di alcune fasce di farmaci dalla farmacia e o altre azioni a favore del libero mercato non hanno mai avuto spazio alcuno. A ciò si aggiunge il fatto che su una popolazione che è il 10% più numerosa della nostra, la Francia ha il 22% di farmacie in più dell’Italia». Tuttavia, la presenza capillare si è parzialmente deteriorata negli anni della crisi: «Di qui – prosegue Schito – un provvedimento che rende più flessibile il processo di assegnazione territoriale delle farmacie stesse. E, soprattutto, introduce il concetto di zone franche, aree cioè che necessitano di urgente presenza di farmacie perché altrimenti non sarebbe assicurato l’accesso al farmaco. In questi casi, si potranno adottare misure per promuovere e rafforzare l’offerta farmaceutica locale».
In pratica, «Oltralpe si legifera a favore di interventi pubblici correttivi del libero mercato», mentre «da noi si producono testi come la legge 124 che è un atto di fede alla somma protagonista del libero mercato: la grande impresa». E ancora: «In Francia si prende atto che ci sono contesti in cui la redditività della farmacia è un fattore assai critico, e si accetta l’impegno pubblico come elemento necessario. In Italia si sta creando un sistema in cui l’obiettivo sacrosanto dell’utile non è bilanciato da alcun vincolo che rimandi a mission sanitarie pubbliche». In conclusione, secondo il dirigente, «non crediamo che basti imboccare la liberalizzazione per creare sviluppo e riequilibrio, non crediamo che sia la competizione lasciata a se stessa a generare qualità del servizio». Meglio tentare di «costruire una farmacia dove non siano gli utili ma le possibilità di servizio sanitario al cittadino a non avere limiti e confini».

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