La politerapia, ovvero l’assunzione di più farmaci contemporaneamente, sta diventando sempre più comune nel trattamento del diabete di tipo 2. Il fenomeno è legato all’invecchiamento della popolazione e all’aumento delle patologie croniche che si presentano come complicanze della malattia diabetica. Recenti studi hanno evidenziato come la politerapia sia una realtà in crescita, ribaltando il preconcetto secondo cui un minor numero di farmaci sia sempre la scelta migliore. In particolare, come osservato dalla Società italiana di diabetologia (Sid), «un recente studio di Johansson et al pubblicato in un numero di Diabetes Care ha descritto i cambiamenti della politerapia dal 2000 al 2020 in oltre 460mila adulti danesi con diabete di tipo 2, scoprendo che il ricorso ai farmaci è aumentato dal 53% nel 2mila, al 76% nel 2020».

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Più di cinque farmaci usati durante i 20 anni presi in considerazione

Secondo i dati resi noti dalla Sid «quasi il 90% dei pazienti ha usato più di cinque farmaci durante i 20 anni presi in considerazione e il 47% ne ha usati più di 10. Interessante l’identikit delle persone con maggior carico farmacologico: maschi, con più patologie concomitanti e livelli di istruzione e di reddito inferiori alla media. Mentre in Italia uno studio sui dati del Reposi relativo ai pazienti anziani ospedalizzati, riporta la politerapia nel 79% degli anziani con diabete vs il 54% dei non diabetici e politerapia con più di 10 farmaci del 22% nelle persone con diabete vs 5% di chi non ha il diabete». Dunque, secondo la Sid, «nonostante sia stata associata ad un aumento dei costi sanitari, ad una minore aderenza alle terapie e ad un maggior rischio di eventi avversi, nelle persone con diabete di tipo 2 il quadro patologico prevede diverse opzioni di trattamento per raggiungere il controllo della terapia, rallentarne la progressione e limitare ospedalizzazioni e complicanze».

Aderenza e indicatori di appropriatezza della terapia

Riccardo C. Bonadonna, presidente eletto della Sid, ha motivato i numeri presentati sottolineando che «le persone con diabete di tipo 2 assumono una serie di farmaci per limitare il rischio di complicanze cardiovascolari, renali e metaboliche. Lo studio danese ci dice infatti che l’uso di metformina è aumentato dal 31% del 2000 al 67% del 2020, e così l’uso di statine (dal 12% al 67%), di farmaci inibitori del sistema renina-angiotensina (dal 37% al 64%), di beta-bloccanti (dal 16% al 30% ) e di farmaci anti-trombotici (dal 32% al 43%). Questi incrementi sono spiegati in gran parte dall’aderenza alle linee guida, e vanno salutati come indicatori di maggiore appropriatezza della terapia, in termini di selezione dei farmaci prescritti e di inquadramento degli obiettivi terapeutici da perseguire, che vedono in prima linea non solo il controllo glicemico, ma anche, e soprattutto, la protezione dal danno d’organo, che colpisce cuore, rene, sistema vascolare cerebrale, sistema nervoso, ecc».

«Più malattie, più prescrizioni di farmaci»

Secondo Bonadonna «il numero medio di malattie croniche diagnosticate nella persona con diabete di tipo 2 è salito da 3.5 a 6.0. Più malattie, più prescrizioni di farmaci. Ma più farmaci si prescrivono, maggiore è la responsabilità di chi prescrive, e non solo riguardo agli effetti avversi, che ovviamente si moltiplicano. A un più grande numero di farmaci corrisponde un calo dell’aderenza, e, se l’aderenza di una terapia cronica cala sotto l’80%, crolla l’efficacia protettiva della terapia. Perciò, la politerapia, o polifarmacia, deve essere accompagnata da sforzi tesi a incoraggiare, controllare e, se necessario, migliorare l’aderenza con un attento monitoraggio degli effetti avversi».

Necessario approccio terapeutico integrato

La Sid ha poi osservato che «se fino a qualche anno fa l’idea di prescrivere multiple terapie poteva destare perplessità sia nei pazienti che nei medici, oggi la comunità scientifica riconosce come un approccio terapeutico integrato possa rappresentare la chiave per un controllo più efficace della malattia, delle sue complicanze e delle altre comorbidità croniche. La sfida non utilizzare più o meno farmaci, ma come combinar gli strumenti terapeutici in modo ottimale per ogni singolo paziente».

L’impatto della polipatologia nella persona con diabete di tipo 2

Raffaella Buzzetti, presidente Sid, ha precisato che «oltre alla valutazione accurata del rischio di interazioni e di effetti avversi, oltre agli effetti psicologici e sulla qualità della vita e all’impatto di costi “out of pocket” che possono portare a tossicità finanziaria, bisogna ulteriormente segnalare il drammatico impatto della polipatologia nella persona con diabete di tipo 2: la fibrillazione atriale è passata dal 2% al 6%, le neoplasie maligne dal 6% al 12%, le malattie polmonari croniche dal 5% al 13%, la demenza dall’8% al 20%».

Distinguere tra poli-trattamento appropriato e inappropriato

Secondo Buzzetti si tratta di «una vera e propria emergenza di poli patologia cronica con conseguente politrattamento, e un tremendo aumento del “fardello” sui pazienti, le loro famiglie, la comunità tutta, sia dal punto di vista umano sia dal punto di vista economico. In questa emergenza, diventa irrinunciabile distinguere tra poli-trattamento appropriato e inappropriato e la sfida è quella di una migliore comunicazione e coordinamento, non solo tra medico e paziente, ma anche tra medici delle diverse specialità in modo che il poli-trattamento sia cucito addosso alla persona».

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