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Almeno, questo emerge da un’inchiesta condotta dai giornalisti del quotidiano la Repubblica, che si sono recati in una serie di farmacie milanesi per chiedere di acquistare il medicinale (che ha validità fino a 120 ore dopo il rapporto sessuale ritenuto a rischio), ottenendo riscontri apparentemente molto contraddittori tra di loro. C’è chi non ha disponibilità del farmaco in negozio; chi controlla se è necessaria la prescrizione; chi addirittura nega che il prodotto esista. C’è anche chi si appella al diritto all’obiezione di coscienza, che non è riconosciuto alla categoria dei farmacisti. Proprio in questi giorni – ricorda la Repubblica – è in corso la revisione del codice deontologico della categoria, ma la questione dell’obiezione di coscienza non è stata posta all’ordine del giorno, sebbene diversi colleghi da tempo chiedano di poter beneficiare di tale diritto. Stando alle associazioni che si occupano di salute femminile come Vita di donna, continua il quotidiano, due farmacisti su dieci richiederebbero una ricetta o una visita ginecologica che secondo la normativa non sono necessari. C’è, infine, chi lo presenta come un medicinale abortivo, quando invece l’Aifa, la casa farmaceutica e le sperimentazioni hanno stabilito che l’ulipristal acetato non provoca l’interruzione di gravidanza, bensì agisce bloccando o ritardando l’ovulazione e rallentando la maturazione dell’endometrio, in modo tale che l’embrione non venga impiantato. Su tale questione, ad ogni modo, il dibattito all’interno del mondo medico è ancora molto acceso.
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