L’Europa li approva, i Big Ue li immettono in commercio a tempi record, ma l’Italia fa le classiche orecchie da mercante. E così, prima che da noi arrivino negli ospedali passano in media due anni. Altro che innovazione: i farmaci di ultima generazione – da quelli contro il cancro ai cardiovascolari agli anti diabetici – sono un lusso per gli italiani. A tutto danno dei pazienti. E con una perdita in Italia per le industrie farmaceutiche calcolata in 500-600 milioni l’anno, dopo di che magari scattano la delocalizzazione e il taglio dell’occupazione.
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Curioso Paese, l’Italia.
Soffre una crisi acutissima, reclama investimenti, afferma di voler puntare sull’innovazione e divoler azzerare la burocrazia. Tutto questo a parole. Nei fatti accade spesso esattamente il contrario. E il caso della farmaceutica, come dimostra lo studio appena realizzato da Farmindustria su dati Ims Health, è a suo modo emblematico. Pure se scremato dal fattore-crisi che ha imposto di stringere i cordoni della conti pubblici. E anche facendo la tara del reale valore innovativo dei singoli farmaci: lo studio, infatti, prende in considerazione gli stessi farmaci. Che altrove arrivano presto al paziente, in Italia solo in tempi biblici. Tutto nasce dalle troppe barriere all’accesso che in Italia frenano l’arrivo dei farmaci innovativi.
Freni statali e regionali, dai tetti di spesa alle linee-guida, dagli accordi sui rimborsi al monitoraggio web fino ai budget, ai registri, alle quote di farmaci me-too. Regole (anche di garanzia) che in Italia sono in media il doppio rispetto a quelle applicate in Germania, Inghilterra, Spagna e Francia. E che secondo lo studio si traducono in precisi effetti sul mercato: nei 5 Big Ue scelti per il raffronto la spesa media per i farmaci innovativi lanciati tra il 2008 e il 2012 valgono 3o euro pro-capite, in Italia 21 euro. Vale a dire il 32% in meno, appunto 550-600 milioni in meno di ricavi per le azienda. Con punte del 73% per i gastro-intestinali e del 40% per i cardiovascolari. Un dato che si riflette anche sui consumi pro-capite, che in Italia sono inferiori del 54% rispetto ai nostri cinque partner Ue: in testa a tutti i farmaci oncologici e gli anti-diabetici (-86%). E così dei prodotti auto- rizzati in Europa dall’Ema dopo il 2009, solo 4 sono quelli approdati sul mercato Italiano, contro 46 in Germania, 39 in Inghilterra, 22 in Francia e 21 in Spagna. Dove, tra l’altro, i prezzi sono in media sempre più alti, dal 40% in più della Germania al 6% in più della Spagna. E così l’innovazione può aspettare. «Un danno per i pazienti, per le imprese, per l’economia del Paese – commenta il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi -. L’innovazione è il motore di qualsiasi investimento: negandola, perdiamo tutti».
Sole 24 Ore di venerdì 12 aprile 2013, pagina 42
Nuovi medicinali “a passo di lumaca”
di Turno Roberto
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