“Il paziente del futuro” è stato il filo conduttore del secondo simposio di Medicina dei sistemi, svoltosi il 20 maggio scorso, presso l’Università degli Studi di Milano, che ha patrocinato l’evento assieme al ministero della Salute e alla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo). Il convegno, che si è tenuto con il supporto non condizionante di Guna, ha visto avvicendarsi sul palco numerosi relatori illustri, tra professori universitari, medici, specialisti e ricercatori, tutti focalizzati sulla definizione di nuovi modelli di integrazione nella prassi clinica e nuove soluzioni terapeutiche per curare il paziente del futuro. Ed è sulla definizione di quest’ultimo che si sono aperti i lavori. Umberto Solimene, direttore Who Collaborating Center for Integrative Medicine, si è soffermato sull’umanità del malato e sulla sua inscindibile connessione con l’ambiente in cui vive e la società di cui fa parte. «I malati non sono malattie – ha dichiarato il dirigente –. Non sempre le patologie sono spiegabili con i protocolli medici tradizionali, per cui servono altri parametri e un approccio meno standard e più personalizzato. La salute dell’uomo è influenzata non solo dalla genetica ma da molti altri fattori, come l’ambiente, l’inquinamento, la psicologia e molto altro, creando un insieme che rende unica la persona».
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Le nuove frontiere della medicina dei sistemi
A parlare del paziente del futuro sono intervenuti diversi pediatri, perché i bambini di oggi saranno appunto i pazienti di domani. A riprova del fatto che il decorso di una patologia è altamente influenzato da numerosi fattori, i relatori hanno mostrato diversi studi clinici che provano come fattori quali il microbioma, i metaboliti e le relazioni molecolari vengono influenzate in vario modo provocando esiti diversi sulla salute. Per questo motivo l’approccio più efficace non può che essere sempre più personalizzato. «Siamo in salute quando l’omeostasi dell’organismo è rispettata – ha spiegato Jeanette Maier, docente ordinario di Patologia generale e patologia clinica all’UniMi –. Quando l’equilibrio cambia, anche a causa di stimoli esterni, l’organismo ha due strade: o si adatta o si ammala. A permettere l’adattamento è una corretta comunicazione tra cellule. Un’alterazione della rete di comunicazione può portare alla patologia». Per comprendere questo meccanismo è necessario quindi conoscere il paziente, sviluppare una grande empatia nei suoi confronti e usare un approccio terapeutico sempre più personalizzato. Grandi passi avanti sono stati fatti anche dalla medicina predittiva e dalla possibilità di prevenire molte patologie.
In questo scenario, quale ruolo per il farmacista?
La visione globale del paziente e l’empatia nei suoi confronti fanno parte di un approccio che può e deve adottare anche il farmacista. «Dal convegno di oggi – dichiara a FamaciaVirtuale.it Alessandro Pizzoccaro, presidente di Guna – emerge la consapevolezza che questa visione dell’uomo fatta non solo di organi ma anche di mente, emozioni e spirito è una visione condivisa da illustri professori accademici, che può essere utilmente abbracciata anche dai farmacisti. Non è così automatico dare una risposta su un singolo sintomo, ma bisogna comprendere il paziente nella sua globalità, altrimenti si rischia di non ottenere risultati o addirittura di provocare danni per via degli effetti collaterali che derivano da un uso non corretto dei farmaci. Il farmacista deve quindi dedicare tempo a conoscere il paziente, indirizzarlo al medico in caso di problematiche gravi oppure valutare soluzioni di farmacologia a bassi dosaggi, che possono alleviare il sintomo e avere altri effetti benefici sull’organismo. In ogni caso è sempre fondamentale dare un’interpretazione umana del paziente».
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