In occasione dell’evento “Salute e legge di Bilancio 2025”, organizzato dalla fondazione Mesit a Roma, Marcello Cattani, presidente di Farmindustria, ha presentato le richieste del settore farmaceutico per la prossima manovra finanziaria. Il dirigente ha chiesto «aumento del tetto per la spesa farmaceutica dello 0,55%. Revisione dei criteri dell’innovatività dei farmaci, ampliando l’accesso al fondo anche ai nuovi antibiotici efficaci contro i super batteri», a cui segue «abolizione del payback dell’1,83% sulla spesa farmaceutica convenzionata e stabilizzare, per quest’anno, il payback per la spesa ospedaliera, che pesa come un’extra tassa da due miliardi sull’industria del farmaco».

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Quota delle risorse per la spesa farmaceutica

Secondo Cattani «con la manovra sono stati aggiunti miliardi sulla sanità e questo va nella direzione corretta, perché la spesa sanitaria non può che crescere, visto che crescono i bisogni sanitari e la spesa per l’innovazione. Ma non possiamo che chiedere maggiori investimenti sulla spesa farmaceutica, che ha aumentato la vita media negli ultimi 25 anni, fornendo terapie a moltissime patologie. Chiediamo di far salire di mezzo punto percentuale la quota delle risorse per la spesa farmaceutica, raggiungendo il 15,8% del Fondo sanitario nazionale contro l’attuale soglia che assorbe il 15,3% dell’intera torta».

Fondi per la spesa farmaceutica

Rispetto ai fondi per la spesa farmaceutica, secondo Cattani «è necessario alzare il tetto per i farmaci dispensati in ospedale. Altro nodo è il payback, una tassa extra di 2 miliardi di euro per le aziende in Italia che già pagano le tasse. In attesa di un suo definitivo e auspicabile superamento dobbiamo evitare che il payback della spesa farmaceutica ospedaliera cresca nel 2025. Essendo la farmaceutica la prima manifattura che traina l’export italiano, merita un gruppo di lavoro immediato. C’è poi anche un payback sulla spesa convenzionata (per i farmaci dispensati in farmacia) che prevede il versamento alle Regioni da parte delle aziende degli importi corrispondenti all’1,83%. Questo pesa ulteriormente sulle aziende già in crisi per un aumento del costo di produzione del 30% negli ultimi due anni: toglierlo varrebbe 160 milioni e sarebbe un segnale importante».

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