Della questione del parallel trade si parla meno, ma non perché essa sia superata. E se è vero che il problema è circoscritto a pochi farmaci, per i pazienti che ne hanno bisogno si tratta di qualcosa di serio e attuale. Fabrizio Gianfrate, docente di Economia sanitaria e farmaceutica, torna sulla questione della carenza dei farmaci, parlando a FarmaciaVirtuale.it.
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Qual è la situazione attuale? Se ne parla semplicemente di meno o è davvero in via di miglioramento?
Penso che si tratti più di una questione di comunicazione che di sostanza, perché la realtà è che sul tema non è cambiato molto: non ci sono stati interventi normativi e il fenomeno è rimasto tale e quale a prima. Diciamo che esiste una certa oscillazione fisiologica, dovuta al fatto che in certi momenti il differenziale di prezzo di alcuni farmaci risulta superiore, per cui il parallel trade è più conveniente e dunque intenso. Ma il rumore lo fa più il caso specifico che l’andamento costante del fenomeno: un anno fa c’erano state interrogazioni parlamentari e da Federfarma Lazio era partita una denuncia in materia…
Però Domenico Di Giorgio, dirigente dell’Aifa, ha parlato di eccessivo allarmismo. Lei non è d’accordo?
Di Giorgio, oltre ad essere un amico, è un eccellente professionista. Tuttavia, stavolta non sono completamente d’accordo con lui. Mi domando infatti come si possa decidere fin dove arrivi un “eccesso” su un tema come questo. Ci sono alcuni farmaci che risultano ciclicamente mancanti, perché conviene di più venderli all’estero piuttosto che al paziente del quartiere. Si tratta del fenomeno alla base del rumore generato negli ultimi tempi. Concordo sul fatto che il problema riguarda solo alcuni prodotti, e che dunque, se guardiamo alla questione in ottica generale, è possibile affermare che parliamo di qualcosa di trascurabile. Però per chi ha bisogno di quei medicinali il problema è rilevantissimo. Basti pensare che tra le carenze ci sono degli antiparkinsoniani e degli antiepilettici.
A livello europeo si sta muovendo qualcosa?
Assolutamente no. Per molti Paesi europei è estremamente conveniente il meccanismo. È un’opportunità: la Germania o l’Inghilterra, finché quest’ultima rimarrà nell’Ue, traggono un oggettivo vantaggio dal fenomeno. Stesso discorso vale per le nazioni scandinave. Tenendo conto del fatto che in Europa sono loro che comandano, non credo che vorranno mai cambiare le cose.
In Italia, pensa che il nuovo governo, che rischia di essere precario o di scopo, possa avere modo di affrontare un tema specifico come questo?
Le idee, come diceva Nenni, camminano sulle gambe degli uomini: ci vuole qualcuno che sollevi il problema. Però mi domando: come si fa a proporre una norma che va contro le regole europee sulla libera circolazione delle merci? Una legge nazionale rischia di portare ad una procedura d’infrazione…
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