La Spagna è un paese con una struttura simile a quella di uno stato federale. Ogni stato ha un proprio ministero della Salute, collegato al ministero della Salute nazionale. Il governo centrale si occupa di registrare i medicinali e stabilirne il prezzo e di definire i servizi sanitari a cui tutta la popolazione ha diritto. Sono solo parte dei dettagli emersi nello studio «Primary health care policy and vision for community pharmacy and pharmacists in Spain», pubblicato lo scorso giugno sulla rivista scientifica “Pharmacy Practice”. Le cure primarie vengono fornite all’interno dei centri medici attraverso “squadre di assistenza sanitaria di base”, composte da medici di famiglia, pediatri, ginecologi, infermieri, farmacisti specializzati in cure primarie, assistenti sociali e personale amministrativo. Tutti i professionisti sanitari che operano all’interno di queste strutture sono dipendenti pubblici. I farmacisti di cure primarie sono circa 750 e a loro è affidato il ruolo di sorvegliare su sicurezza ed efficacia dei medicinali. La collaborazione tra farmacisti di cure primarie e farmacisti di comunità è limitata e non esiste una politica che favorisca questa cooperazione.
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Per esercitare la professione di farmacista in Spagna occorre essere iscritti all’Ordine provinciale dei farmacisti. Esistono numerose associazioni che rappresentano i titolari di farmacia o i collaboratori. Nel 2018 si contavano più di 74000 farmacisti iscritti agli Ordini, di cui 52000 farmacisti territoriali. Tutte le farmacie del territorio sono private; le catene di farmacie non sono consentite per legge. Nel 1997 venne approvata una legge nazionale che rese obbligatorio fornire servizi di consulenza al paziente, segnalare reazioni avverse assumendo un ruolo attivo nella farmacovigilanza, allestire preparazioni. Tuttavia, queste attività risultano marginali nella pratica quotidiana, dove continuano a prevalere la dispensazione dei medicinali e i consigli per un corretto uso dei farmaci di automedicazione.
Nel 2001 il ministero della Salute spagnolo identificò e definì tre servizi principali che dovevano essere offerti dalle farmacie territoriali: la fornitura dei medicinali doveva essere accompagnata dai consigli per l’uso; il paziente che si recava in farmacia doveva ricevere assistenza nella scelta dei farmaci senza obbligo di prescrizione; le terapie croniche dovevano essere seguite per rilevare prontamente eventuali effetti collaterali. Ad oggi solo i farmacisti più motivati applicano le disposizioni suddette, probabilmente a causa della mancanza di una retribuzione. Altri servizi invece, a seconda della tipologia, vengono finanziati dallo stato, dalla provincia o dal comune. Tra questi si ricordano la fornitura di metadone, i test per l’Hiv e la sifilide, il test di screening per il cancro del colon retto, la distribuzione di siringhe sterili ai tossicodipendenti, la raccolta dei rifiuti farmaceutici, programmi di educazione sanitaria finalizzati alla corretta assunzione dei medicinali nelle terapie croniche.
Per il futuro, gli autori dello studio si auspicano vi sia una maggiore collaborazione tra le associazioni di categoria e che queste possano promuovere le pratiche orientate al paziente, piuttosto che al prodotto, contribuendo all’implementazione dei servizi. Questi programmi necessitano di una remunerazione, che renderebbe i farmacisti più propensi ad un cambiamento di mentalità, comprendendo appieno l’importanza dei servizi farmaceutici. Le autorità sanitarie dovrebbero concentrarsi maggiormente sul valore aggiunto dei servizi, piuttosto che sugli aspetti commerciali delle farmacie. Infine, il gruppo di studio si augura che le relazioni con le organizzazioni dei medici di base, già definite eccellenti, possano ancora migliorare.
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