Il decreto Cresci Italia è fallito, e si tratta di un’occasione persa. Ad esserne convinto è Venanzio Gizzi, presidente di Assofarm e dell’Unione Europea Farmacie Sociali. «Il sostanziale fallimento del d.l. Cresci Italia (poi convertito in legge nel marzo 2012) non è certo una buona notizia per chi, come le farmacie comunali italiane, è da sempre favorevole ad ogni processo di liberalizzazione del settore, purché fatto nel rispetto del principio di sostenibilità economica e sanitaria del sistema già oggi in essere. Lo scorso 30 maggio un importante quotidiano ad elevata tiratura nazionale ha pubblicato un servizio che descrive il “flop” di quanto contenuto nel famoso decreto del governo Monti: se il provvedimento si proponeva di dar vita a 2.500-2.800 nuove farmacie, quattro anni dopo il numero di nuovi presidi è di non più di 300».
«Noi ci dichiarammo subito d’accordo con gli obiettivi del decreto – ha sottolineato Gizzi – ma al tempo stesso rilevammo limiti che avrebbero causato problemi di attuazione. Primo fra tutti quello della possibilità di aprire nuove farmacie all’interno di centri commerciali ad una distanza minima di 1.500 metri dai presidi già esistenti. Un aspetto che rendeva il progetto praticamente inutilizzabile per i comuni italiani. Ricordo infatti che lo stesso decreto fissava la possibilità di aprire nuove farmacie comunali oltreché nei grandi magazzini anche in contesti particolari quali stazioni ferroviarie, aeroporti a traffico internazionale, stazioni marittime e aree di servizio autostradale ad alta intensità di traffico. Difficile immaginare che in questi luoghi ci siano le condizioni di redditività per giustificare la presenza di una farmacia».
Una ricerca realizzata per conto di Assofarm nel 2015 ha rilevato come il 90% delle farmacie comunali presenti bilanci in attivo. Esse negli ultimi tre esercizi hanno fruttato 160 milioni di euro netti alle casse dei comuni loro proprietari: «Nonostante la crisi economica e il costante calo di redditività del settore, le nostre farmacie continuano ad essere aziende in salute – ha concluso il presidente dell’associazione di categoria – se avessimo concrete possibilità di ampliare la nostra presenza sul territorio di certo non ce la faremmo sfuggire. È assolutamente necessario rivedere alcuni parametri definiti dalla legge del 2012 e procedere con maggiore celerità ad un processo di riforma certo della distribuzione farmaceutica italiana».
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