«I risultati del follow-up di quattro anni nella pratica clinica quotidiana rafforzano il profilo di efficacia e sicurezza di edoxaban nel lungo periodo confermando ciò che il Noac di Daiichi Sankyo aveva già dimostrato negli studi clinici randomizzati in popolazioni di pazienti affetti da fibrillazione atriale». È quanto ha fatto sapere Daiichi Sankyo, la quale ha reso noto che i nuovi dati dello studio osservazionale non interventistico Etna-Af sono stati presentati da durante il Congresso europeo di cardiologia (Esc) 2023, lo scorso agosto ad Amsterdam.

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Basso tasso annuo di mortalità per tutte le cause

Quanto ai risultati presentati, Daiichi Sankyo ha sottolineato che «i risultati di un’analisi multivariata dello studio Etna-Af Europe, che ha coinvolto 13.164 pazienti in dieci Paesi europei, mostrano che il trattamento con 30 mg o 60 mg di edoxaban in pazienti con fibrillazione atriale, a quattro anni è associato a un basso tasso annuo di mortalità per tutte le cause, ictus ischemico e sanguinamenti maggiori». Inoltre «i tassi annualizzati di mortalità per tutte le cause e mortalità cardiovascolare nelle popolazioni totali sono stati rispettivamente del 4,1%/anno e dell’1,0%/anno, più elevati nella coorte di pazienti trattata con edoxaban 30 mg rispetto a quella trattata con edoxaban 60 mg. Anche i tassi annualizzati di ictus, attacco ischemico transitorio ed eventi embolici sistemici sono stati bassi (0,6%/anno, 0,3%/anno e 0,1%/anno) con proporzioni simili in entrambe le coorti di entrambi i dosaggi».

Approccio personalizzato al trattamento

Con riferimento ai tassi di sanguinamento maggiore, emorragia intracranica e sanguinamento gastrointestinale maggiore, come evidenziato da Daiichi Sankyo, essi «sono stati bassi – rispettivamente 0,9%/anno, 0,2%/anno e 0,4%/anno –, tuttavia si è registrata una maggiore incidenza di sanguinamento maggiore e di sanguinamento gastrointestinale maggiore nei pazienti trattati con 30 mg di edoxaban rispetto a quelli trattati con 60 mg». In particolare, «questi tassi di eventi più elevati erano potenzialmente dovuti alla popolazione più anziana – con una maggiore fragilità percepita – che riceveva il dosaggio di 30 mg (27,0% di fragilità nei pazienti trattati con 30 mg vs. 6,6% in quelli trattati con 60 mg)». Secondo Daiichi Sankyo «la fragilità è comune nei pazienti con fibrillazione atriale e richiede un approccio personalizzato al trattamento, come indicato nella Guida pratica dell’European heart rhythm association (Ehra) sull’uso dei Noac nella fibrillazione atriale».

Beneficio dell’uso dei Noac nei pazienti con fibrillazione atriale

Raffaele De Caterina, docente di cardiologia presso l’Università di Pisa e direttore della divisione di cardiologia universitaria dell’Azienda ospedaliera universitaria pisana, ha sottolineato che «i dati Etna-Af a quattro anni rafforzano ancora una volta il beneficio clinico dell’uso dei Noac nei pazienti affetti da fibrillazione atriale, in particolare in quelli in cui è necessario gestire con attenzione anche comorbilità come diabete, scompenso cardiaco o fragilità, e ciò rappresenta un’ulteriore rassicurazione per la nostra pratica clinica». Secondo De Caterina «i risultati, insieme agli approfondimenti sul bisogno di una migliore caratterizzazione ai fini del trattamento dei nostri pazienti fragili affetti da fibrillazione atriale, evidenziano la necessità di fondare il processo decisionale sulle linee guida ma di applicarlo in modo personalizzato a ogni paziente che trattiamo».

«Continuare a comprendere i trattamenti al di là degli studi clinici»

Secondo Stefan Seyfried, vicepresidente medical affairs specialty medicines presso Daiichi Sankyo Europa, «l’ampiezza delle evidenze presentate al congresso della Società europea di cardiologia di quest’anno dimostra la reale necessità di continuare a comprendere i trattamenti al di là degli studi clinici e nell’ambito delle cure di routine». Seyfried ha ricordato che «in Daiichi Sankyo ci impegniamo a condividere i dati scientifici e ad arricchire la conoscenza dei nostri trattamenti e dei Noac con i medici, consentendo loro di prendere decisioni informate nell’ambito della pratica clinica, con l’obiettivo comune di ridurre l’impatto della malattia cardiovascolare sui pazienti e sui loro cari».

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