Tempi più rapidi per l’approvazione degli studi clinici in Italia. La richiesta arriva dal tavolo di lavoro tra la Federazione Italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso) e Farmindustria che si è riunito oggi presso l’Auditorium “G. Bonadonna” dell’Irccs Istituto Nazionale Tumori di Milano. L’iniziativa pubblica arriva al termine di un ciclo di incontri formativi nell’ultimo anno con i direttori generali per definire strategie e modalità per rendere il sistema della ricerca e i centri clinici sempre più attrattivi.

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Il livello dei clinical trial in Italia

La ricerca clinica, infatti, rappresenta una grande opportunità per i pazienti che possono avere accesso precocemente a terapie innovative, per i ricercatori che hanno la possibilità di valorizzare le proprie competenze mediche e scientifiche e per la sostenibilità stessa dell’assistenza, in quanto tutti i costi sono poi sostenuti dalle aziende che promuovono gli studi. Nel 2022, i clinical trial in Italia registrati su Eudract sono tornati ai livelli del 2019, con 713 sperimentazioni concentrate principalmente nelle fasi II e III, ponendo l’Italia al terzo posto nell’Unione europea per numero di sperimentazioni cliniche dopo Spagna e Germania. E sempre nello stesso anno gli investimenti in ricerca e sviluppo sono stati pari a 1,9 miliardi di euro, il 6,8% del totale degli investimenti in Italia.

Oncologia al centro dei bisogni

L’oncologia rimane al centro dei bisogni e degli investimenti ma la gran parte dei pazienti fragili affetti da patologie complesse necessitano di trattamenti innovativi e personalizzati. Nel corso dei lavori sono stati presentati i risultati di una indagine che ha rilevato come per ogni euro investito in sperimentazioni cliniche ed erogato dalle aziende sponsor alle strutture sanitarie, il servizio sanitario nazionale realizzi un risparmio medio di 2,77 euro.

Lo spaccato della ricerca in Italia

Per valutare l’impatto nelle strutture sanitarie e ospedaliere che conducono attività di ricerca clinica la Fiaso ha realizzato nel 2023 una survey tra 33 centri su tutto il territorio nazionale. I risultati hanno dimostrato un’ampia distribuzione nel numero di studi condotti, che vanno da strutture con poche unità di studi nel periodo considerato (2019-2021), a centri con oltre 330 studi su farmaci, altri con oltre 60 su dispositivi e infine 500 studi osservazionali. In merito agli aspetti organizzativi, dalla survey emerge che il 42% dei centri ha un Clinical trial center (24% come struttura complessa, 18% come struttura semplice) e che il 58% dei centri ne è invece privo. Per la conduzione della ricerca clinica sono necessarie risorse, formate e possibilmente dedicate. Nella survey è emerso che 16 strutture su 33 hanno personale dedicato, in numero variabile da 1 a 50 persone. I ruoli sono quelli di study coordinator, data manager e infermieri di ricerca. Ma dove sono assenti i Clinical trial center la gestione degli studi è spesso gestita da personale precario presente nelle singole unità operative o da personale che segue gli studi oltre che svolgere le mansioni prevalenti di assistenza a cui è assegnato.

In Italia processi amministrativi di approvazione lunghi e difficoltosi

Nonostante il Regolamento europeo per la ricerca clinica (536/2014) abbia stabilito tempi di autorizzazione allineati per tutti i Paesi membri (da un minimo di 60 giorni a un massimo di 106 a partire dalla data di sottomissione), in Italia i processi amministrativi di approvazione risultano ancora più lunghi e difficoltosi rispetto alla media europea e fino al 2025 ci sarà un periodo transitorio di validità della vecchia normativa sugli studi in corso. Inoltre, nonostante ci sia stata una significativa riduzione dei comitati etici (40 territoriali più 3 a valenza nazionale) è diventato essenziale ripensare i processi a livello dei centri di sperimentazione, su cui ricadono tutti gli aspetti amministrativi, per restare competitivi. Va considerato, infatti, che la probabilità di ottenere l’approvazione di un farmaco che entra nelle fasi di sperimentazione clinica varia dal 7% al 45%, a seconda dell’area terapeutica, della natura del farmaco e del processo di approvazione. Lo sviluppo di un nuovo medicinale richiede quindi in media da 10 a 15 anni e un costo medio di 1,3 miliardi di dollari, con una grande variabilità nelle diverse aree terapeutiche.

Migliorare l’appropriatezza delle cure offerte ai pazienti

Giovanni Migliore, presidente Fiaso, ha spiegato che «la ricerca clinica rappresenta non solo un’opportunità di innovazione, ma è anche cruciale per migliorare l’appropriatezza delle cure offerte ai pazienti e contribuire alla sostenibilità del sistema. Integrare pienamente la ricerca clinica tra le strategie aziendali è essenziale per garantire un utilizzo efficiente delle risorse. Serve quindi completare presto il quadro normativo per mettere in condizione i centri clinici del servizio sanitario nazionale di attrarre nuovi investimenti e restare competitivi anche a livello internazionale».

Cattani (Farmindustria): «Ricerca cuore pulsante dell’innovazione»

Marcello Cattani, presidente di Farmindustria, ha evidenziato che «siamo convinti che la collaborazione con Fiaso possa rendere ancora più forte la partnership nella R&S tra aziende sanitarie, Irccs e industria farmaceutica. La Ricerca è infatti il cuore pulsante dell’innovazione. In Italia le imprese hanno investito nel 2022 quasi 2 miliardi, con una crescita del 22% dal 2017, di cui oltre 700 milioni negli studi clinici, fondamentali per i cittadini per accedere alle nuove terapie. La Ricerca ha prospettive rivoluzionarie, con cure sempre più mirate e centrate sulla persona e investimenti crescenti. Che però, nella competizione globale, potrebbero essere destinati agli ecosistemi più attrattivi dell’Europa. Per questo l’Ue deve accelerare per recuperare il gap. Per la nostra Nazione è fondamentale assicurare ai cittadini tempi di accesso più rapidi all’innovazione, con un approccio più moderno che ci auguriamo arrivi dalla riforma di Aifa. Perché i tempi, sommandosi a quelli necessari per l’arrivo nelle singole regioni, sono troppo lunghi per i pazienti, che hanno diritto a essere curati appena sia disponibile la terapia».

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