La Federazione Nazionale Associazioni Giovani Farmacisti ha pubblicato una petizione (che chiunque voglia può firmare online), indirizzata al presidente dell’Enpaf Emilio Croce, al Cda, al Collegio dei sindaci e al direttore generale Marco Lazzaro. Nel testo, il sindacato osserva come sia «necessario attuare una profonda riforma dell’ente, tale da renderlo effettivamente un porto agognato e sicuro per il futuro pensionistico dei suoi iscritti. Ciò vale in maniera diversa, ma altrettanto importante, sia per i farmacisti titolari, sia per i farmacisti non titolari». Di qui sette proposte avanzate dalla Fenagifar: la prima riguarda l’abolizione dell’obbligo dell’attività professionale, che «ha creato e crea nel metodo e nel merito una contabilizzazione farraginosa: 20 anni minimi altrimenti perdita del diritto alla pensione e così via. Si crede che, da quando è stato introdotto, abbia contribuito al deterioramento del rapporto degli iscritti nei confronti dell’Enpaf». La federazione chiede poi che venga rivisto il meccanismo legato al contributo di solidarietà, considerato un «odioso onere senza utilità»: «Una soluzione idonea sarebbe quella di riservare tale forma di contribuzione solo per i pensionati attivi professionalmente, mentre per gli iscritti che versano già ad altro ente, si potrebbe prevedere un contributo di pari importo che vada a costituire un fondo pensione riscattabile. Che sarà sicuramente esiguo, ma concettualmente più accettabile». In terzo luogo, si propone di ripristinare i contributi ridotti per i neo iscritti per i primi 3 anni, vista la «particolare attuale situazione di difficoltà economica del settore» e «al fine di agevolare il primo accesso al mondo del lavoro». Si potrebbe prevedere «un contributo di mille euro almeno per i primi 3 anni di iscrizione, qualunque sia la tipologia di contratto (borsa di studio, tirocinio, libero professionista o sostituzione occasionale), da applicare in tutti i casi in cui non si possa far valere il diritto alla riduzione». Quarta proposta, la modifica della natura del contributo 0,90%: «È certamente il dispositivo più osteggiato, in quanto erogato solo dalle farmacie in una misura media che si stima in circa 5.000 euro/anno, cui non corrisponde alcuna prestazione aggiuntiva». Si chiede perciò di modificarne la natura, «attraverso richiesta di modifica della normativa, al fine di trasformarla in forma aggiuntiva di prestazione pensionistica a favore dei farmacisti iscritti che la versano».
La quinta idea avanzata dalla Fenagifar si focalizza sulle quote: «Oggi chi è iscritto all’Ordine, se esercita l’attività, è obbligato a pagare la quota intera Enpaf anche dopo il pensionamento. La pensione media si aggira intorno ai 6.000 euro lordi annui, che serve in pratica per pagare la stessa quota». Si propone di «mantenere l’iscrizione dopo il pensionamento Enpaf o Inps pagando il solo contributo di solidarietà». Il che «eviterebbe le cancellazioni di moltissimi iscritti». La sesta richiesta è legata invece alla rimozione di alcune discriminazioni: «Mentre il pensionato Enpaf, non esercitante, può chiedere la riduzione dell’85% e un dipendente che usufruisce della quota ridotta e apre la partita Iva per meno di 6 mesi in 1 anno ha diritto a mantenere la riduzione per quell’anno, un dipendente che usufruisce della quota ridotta e che acquista una farmacia o diventa socio anche solo per 1 mese in 1 anno è tenuto al pagamento della quota intera», spiega la federazione. Infine, quest’ultima propone «a fronte di oggettiva difficoltà per il neolaureato nell’acquisire informazioni sul complesso regolamento dell’ente», di introdurre «una maggiore informazione e una minore rigidità in sede di applicazione delle regole» nei confronti di tale figura.
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