«Un’occasione unica innanzitutto per aumentare il numero dei pazienti che ricevono terapie gold standard e, poi, per garantire la sostenibilità del sistema». È questo il significato dei farmaci biosimilari per il nostro Paese secondo Francesco Colantuoni, coordinatore dell’Italian Biosimilar Group che, in seno ad Assogenerici, rappresenta le aziende leader nel comparto. Colantuoni ha esposto il punto di vista del settore, al convegno “I farmaci biosimilari: uso, sicurezza, sostenibilità”, organizzato a Roma dal Reparto di Farmacoepidemiologia del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute dell’Istituto Superiore della Sanità.
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A otto anni dall’esordio in Italia dei farmaci biosimilari, il quadro – dichiara Colantuoni – appare contraddittorio. Da un lato, i dati sulla penetrazione nell’uso clinico vedono ad esempio il filgrastim biosimilare rappresentare ormai 72% delle dosi dispensate, con un +40% nell’accesso alla terapia e un sensibile risparmio. È stato salutato con favore anche il position paper pubblicato dall’AIFA a maggio 2013, che dovrebbe uscire in un’edizione aggiornata entro fine anno. Un documento che afferma a chiare lettere che i biosimilari «sono da preferire, qualora costituiscano un vantaggio economico, in particolare per il trattamento dei soggetti “naive”», ovvero mai sottoposti a terapia in precedenza. Ma chiude le porte al fai da te, ribadendo che la scelta dev’essere «affidata al medico specialista prescrittore».
Non mancano le politiche di incentivazione: in Campania una delibera prevede che i biosimilari siano la prima scelta per i pazienti “naive”, mentre la Toscana nei bandi di gara li accosta agli originali, premiando i prezzi inferiori. Ma, denuncia Colantuoni, non sempre la regolamentazione delle procedure d’acquisto risulta allineata agli obiettivi dichiarati. Lo scenario, anzi, è «estremamente disomogeneo», con alcune regioni che fanno leva sul biosimilare per «rendere più inclusiva e sostenibile l’assistenza farmaceutica e altre dove sono presenti vere e proprie diseconomie». Lo confermano le percentuali di sostituzione: secondo Assogenerici in testa è la Toscana con il 53%, mentre fanalino di coda, con meno del 10%, sono Puglia, Basilicata e Calabria. Appianare le differenze è però indispensabile «se vogliamo trarre il massimo vantaggio dalle imminenti scadenze di brevetto di farmaci biologici, tra i quali vi sono per esempio farmaci antitumorali importantissimi e insuline ricombinanti di larghissimo impiego» auspica Colantuoni, che conclude: «è imperdonabile trascurare occasioni di risparmio che si traducono anche in un miglioramento dell’accesso alle cure per decine di migliaia di malati».
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