Le persone con diabete di tipo 1 in stadio 2, attendono, in Europa e in Italia, l’arrivo del primo farmaco al mondo capace di “ritardare” la malattia di due-cinque anni, il teplizumab. Teplizumab è il primo farmaco al mondo capace di “modificare la traiettoria malattia”, trattandosi di un anticorpo monoclonale “umanizzato” – in cui, cioè, sono state modificate, in laboratorio, alcune parti proteiche di origine murina in modo che l’organismo non attivi una risposta immunitaria –, che in diversi studi ha mostrato la capacità di ritardare l’esordio clinico del diabete di tipo 1 in pazienti dagli otto anni in poi. Gli studi condotti hanno portato all’approvazione della molecola da parte dell’ente regolatorio amaricano Fda lo scorso 17 novembre del 2022.
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Prevenzione della perdita di funzione delle cellule beta del pancreas
Raffaella Buzzetti, presidente eletto della Sid, evidenzia che «c’è una grande attesa in Europa e in Italia, dove si attende il via libera dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema) e Aifa, perché teplizumab ha mostrato di essere efficace nel prevenire la perdita di funzione delle cellule beta del pancreas, che nei soggetti con diabete mellito sono aggredite e progressivamente distrutte dal sistema immunitario del paziente». Secondo la docente, «si tratta di un vantaggio importante che offre mesi e anni liberi dalla malattia, la possibilità di pianificare e organizzare la vita e, perché no, prendere tempo rispetto a trattamenti che potrebbero curarla».
Teplizumab ha ritardato l’esordio della malattia
Buzzetti ha sottolineato come «nello studio Tn-10, con un ciclo di terapia endovena di 14 giorni, teplizumab ha ritardato di 25 mesi l’esordio della malattia, mentre un aggiornamento dello studio del 2021 ha mostrato un ulteriore vantaggio, rimandando l’appuntamento con la diagnosi di 32,5 mesi». Come evidenziato da Buzzetti, «gli studi hanno mostrato che l’insorgenza annua della malattia era del 35,9% nel gruppo trattato con placebo e del 14,9% in quello trattato con teplizumab, ma non solo: è stata evidenziata la capacità di ridurre l’attività aggressiva dei linfociti T Cd8+, quelle che riducono la capacità delle cellule beta del pancreas di funzionare».
Necessario un programma di screening
Secondo Angelo Avogaro, presidente Sid, «possono beneficiarne i soggetti con più di otto anni di età con predisposizione al diabete tipo 1, nei quali quindi lo screening abbia evidenziato due o più autoanticorpi e che abbiano una condizione di disglicemia. Per questo è necessario un programma di screening che individui i soggetti con diabete di tipo 1 allo stadio 2. Un obiettivo che può essere raggiunto con un semplice ed economico prelievo di sangue su alcune fasce della popolazione e con l’istituzione di un registro nazionale di patologia».
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