Dopo un lunghissimo iter parlamentare, infinite polemiche e discussioni che hanno coinvolto numerosi settori industriali, il disegno di legge sulla Concorrenza è stato approvato definitivamente all’inizio di agosto, e pubblicato nel numero 189 della Gazzetta Ufficiale il 14 dello stesso mese. Con tale provvedimento, il governo punta ad introdurre «disposizioni finalizzate a rimuovere ostacoli regolatori all’apertura dei mercati, a promuovere lo sviluppo della concorrenza e a garantire la tutela dei consumatori». Importanti novità riguardano, come noto, anche il mondo della farmacia, a partire dall’apertura della proprietà alle società di capitale, il che potrebbe portare ad una trasformazione epocale nella struttura stessa del comparto. Di qui le numerose reazioni della categoria.
Marco Cossolo, presidente di Federfarma, ha spiegato come a suo avviso le conseguenze del Ddl Concorrenza siano state sottovalutate e ha ribadito la propria contrarietà al provvedimento, aggiungendo tuttavia che «è inutile piangere sul latte versato: siamo già al lavoro per gestire questo cambiamento che sarà epocale per la farmacia italiana». Per farlo, «è prioritario consolidare le aggregazioni già esistenti tra farmacie e le sinergie con le società di distribuzione del farmaco di proprietà dei farmacisti».
Meno negativa la posizione di Michele Di Iorio, presidente di Federfarma Napoli, secondo il quale «il legislatore ha affidato a noi titolari il futuro della nostra attività. L’impostazione professionale è sostanzialmente salva: il farmacista resta al centro della farmacia. Non sono prevedibili, al momento, le strategie di merito e di metodo del capitale. Ci conforta che le velleità espansionistiche degli esercizi di vicinato siano andate ancora una volta deluse». Prudente Conasfa, secondo la quale «è finito un modo di vivere della farmacia e della nostra professione e si aprono nuovi scenari al momento sconosciuti. Dovremmo essere alla fine di un monopolio che porterà sostanziali novità». Il presidente di Federfarma Servizi Antonello Mirone ha ricordato invece il protocollo siglato con l’associazione dei titolari: «Vogliamo mettere la firma delle nostre associazioni sul futuro della farmacia libera e indipendente, un futuro che i grandi capitali potrebbero sottrarre alla nostra professione».
Tra i meno contenti, c’è Francesco Pugliese, amministratore delegato di Conad, secondo il quale «la legge di concorrenza ne ha ben poca, e mostra tutta la debolezza di una classe dirigente ancora incapace di mettere in discussione le prerogative di lobby e corporazioni. Si è preferito consegnare il mercato della vendita dei medicinali alle multinazionali, piuttosto che estendere la vendita dei farmaci a carico di cittadini alle parafarmacie, dove operano farmacisti abilitati e dove oggi i cittadini riescono a risparmiare fino al 40% sui farmaci da banco». «Una legge sbagliata ove si è fatto scempio delle indicazioni dell’Antitrust, autorità strumentalizzata da una politica fortemente legata a lobby e corporazioni», gli ha fatto eco Vincenzo Devito, presidente del MNLF. Allo stesso modo Ivan Giuseppe Ruggiero, presidente delle Libere Parafarmacie Italiane, ha parlato di «provvedimento svuotato dagli interventi che favorivano la concorrenza, come la liberalizzazione dei farmaci di fascia C». Anche l’associazione Altroconsumo ha parlato di «passaggio necessario ma non sufficiente per la storia delle liberalizzazioni di questo Paese: un’occasione mancata».
Molto scettico, benché con motivazioni ben diverse, è stato anche il commento della Fofi: «L’approvazione del Ddl Concorrenza, segna un passaggio molto negativo per la sanità italiana, perché si consegna alla pura logica di mercato un servizio, quello farmaceutico, che è da sempre una delle funzioni centrali del servizio sanitario, il cui scopo è garantire l’equo e uniforme accesso ai medicinali a tutta la popolazione. È grave che, a differenza di quanto avviene per le società di professionisti, nel caso delle società proprietarie di farmacie non sia prevista la riserva della maggioranza alla componente professionale. Si creano le condizioni per sostituire una rete di presidi retti da professionisti con un oligopolio di società di capitali a vocazione puramente commerciale». Il vice-presidente della Federazione degli Ordini, Luigi d’Ambrosio Lettieri, è stato ancor più duro: «Il governo e la maggioranza che lo sostiene tirino giù la maschera: dicano con chiarezza ai cittadini italiani che hanno svenduto interi comparti strategici non solo per lo sviluppo del Paese e l’occupazione, ma anche per il ruolo che svolgono nella società, per compiacere i potentati economici». Eugenio Leopardi, presidente di Utifar, ha spiegato da parte sua di «auspicare che i capitali vorranno tutelare la farmacia e rispettare la sua attuale identità. Staremo a vedere come evolverà la situazione».
Di tenore opposto il commento di Mauro Giombini, presidente di ADF, secondo il quale occorre «essere positivi, perché le farmacie in catena, le farmacie indipendenti aggregate in reti così come le farmacie individuali, tutte le farmacie nel loro insieme sono portate a sviluppare ancora maggior valore per il sistema salute, e aumenteranno il loro sforzo e la loro attenzione da sempre notevole verso il paziente/cliente. A me sembra davvero una grande opportunità da cogliere». Infine, Assofarm ha ribadito di avere una posizione «non aprioristicamente contraria all’ingresso dei capitali», ma negativa sul tetto al 20% su base regionale imposto alle società che vorranno acquisire farmacie: «Come noto – ha sottolineato il presidente Venanzio Gizzi – la nostra federazione si era battuta per portare questo limite al 10%, non più su base regionale ma comunale». Nella forma scelta, invece, «si rischiano situazioni di oligopolio» e «derive commerciali contrarie al senso della farmacia».
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