
I prodotti che rientrano nella distribuzione parallela sarebbero in surplus rispetto alle esigenze locali, secondo l’Aip, che afferma che «la distribuzione parallela di medicinali incarna lo spirito europeo. L’attività è legale al 100% e disciplinata dal diritto comunitario ed è incoraggiata dai governi di molti Stati membri al fine di favorire la concorrenza». In base al diritto comunitario, ricorda l’associazione dei titolari di autorizzazioni all’importazione parallela, è vietato limitare gli scambi di merci tra Paesi Ue, e questo sia per garantire i consumatori che la libera concorrenza. Anzi, gli Stati devono giustificare una eventuale restrizione alla libera circolazione delle merci e dimostrare l’esistenza di un fine di interesse pubblico. «Il fatto che i farmaci possano diventare oggetto di commercio parallelo quando il divario di prezzo tra i mercati è eccessivo – dice l’Aip – ha avuto e ha tuttora un impatto disciplinante sui prezzi promozionali dei produttori. Essa pone il prodotto distribuito in parallelo in concorrenza con lo stesso prodotto distribuito nel mercato di destinazione dal titolare del marchio, generando risparmio per i pazienti e il sistema sanitario nazionale». Riassumendo: la distribuzione parallela non esisterebbe se non offrisse un’alternativa economica.
Quali, quindi, le cause delle carenze secondo l’Aip? Una sarebbe il ritiro di certi farmaci: la riduzione dei prezzi, da un lato, e della spesa per i medicinali, dall’altro, avrebbero influito sulle decisioni commerciali delle società farmaceutiche di ridurre i costi e semplificare la produzione. Ciò avrebbe quindi portato le aziende al ritiro dal mercato di alcuni farmaci non più redditizi, creandone carenza. Poi, il contingentamento delle forniture, originariamente usato per limitare la distribuzione parallela e trasformatosi in causa di carenza. E ancora: in conseguenza della crisi, nel tentativo di ridurre i costi, grossisti e farmacie hanno dovuto ridurre drasticamente le scorte. In passato il costo del mantenimento di riserve di stock da usare in caso di rotture poteva essere tranquillamente sopportato, oggi no, e la filiera sarebbe quindi diventata più sensibile alle fluttuazioni. Per l’associazione degli importatori paralleli andrebbe poi in primo luogo chiarito il significato stesso di carenza. «Non si può parlare di carenze nel caso in cui sia disponibile sul mercato nazionale il farmaco equivalente», afferma l’Aip, che aggiunge che «oggi carenze e rotture di stock non si registrano soltanto nell’Unione europea, ma anche in Svizzera e negli Usa, dove il parallel trade non esiste».
Il dibattito si mostra quindi aperto più che mai, e l’Aip si dice disponibile a partecipare a tavoli tecnici per chiarire le differenti posizioni.
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