“La questione dei cosiddetti farmaci mancanti pare destinata a riproporsi periodicamente, ma in realtà è ormai una costante della sanità italiana e non dovrebbe sorprendere più nessuno” dice Enrique Häusermann, presidente di AssoGenerici. “E se ogni volta vengono giustamente richiamati i fattori che causano la mancanza di questa o quella specialità medicinale, dai problemi di produzione a quelli distributivi e persino l’esportazione parallela, è raro che il decisore sanitario additi quella che potrebbe essere la soluzione: ricorrere ai medicinali equivalenti”. Infatti se spesso si insiste su alcuni casi che riguardano medicinali ancora coperti da brevetto, o formulazioni particolari per le quali non è disponibile il farmaco equivalente, in realtà per otto dei 13 principi attivi citati nell’articolo di Repubblica è presente l’equivalente di almeno due case differenti. In un paese in cui, si dice, c’è poca concorrenza, è paradossale che laddove la concorrenza è possibile questa venga trascurata. “Come ha avuto modo di sottolineare il professor Silvio Garattini, è vero che esistono ancora resistenze culturali all’impiego degli equivalenti ma è innegabile che non esiste una politica culturale coerente e adeguata. Quando si parla di continuità terapeutica, sicuramente a ragion veduta, mi sembra però che non si consideri un fatto semplicissimo: la situazione peggiore in cui può trovarsi il paziente non è tanto quella di avere una confezione differente, ma di restare senza medicinale, in particolare quando si tratta di medicinali oncologici di uso ospedaliero come alcuni di quelli citati in questi giorni. Tutti i discorsi sull’eventuale criticità del passaggio da un medicinale all’altro dovrebbe arrestarsi di fronte alla considerazione che la criticità maggiore è il passaggio alla non terapia, accompagnata da peregrinazioni da una farmacia all’altra. Non è e non può essere un’alternativa plausibile per un paese al vertice delle classifiche per l’assistenza sanitaria”.
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