La presentazione della Segnalazione certificata di inizio attività (Scia) per la vendita di prodotti diversi dai farmaci è una questione attuale, alla luce delle diverse applicazioni della normativa in vigore. Lo Studio associato Bacigalupo-Lucidi di Roma ha preso in considerazione un quesito pervenuto da un titolare a cui è stata contestata dalle autorità la mancanza di Scia per la vendita di prodotti alimentari in farmacia. Nella risposta dei dottori Cecilia Sposato e Cesare Pizza, lo Studio ha precisato che «dalla riforma del Commercio (il Dlgs 114/98) il problema in generale è risultato sicuramente ridimensionato». Ciò «soprattutto sotto l’aspetto pratico, quantomeno perché oggi una farmacia – oltre evidentemente a poter erogare senza limiti i c.d. nuovi servizi – può vendere al dettaglio in particolare a) tutti i prodotti e servizi riconnessi alla concessione/autorizzazione per l’esercizio della farmacia (e quindi, oltre ai farmaci, anche i prodotti a essi complementari, i presìdi medico chirurgici, i dispositivi medici, ecc.)».

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Le ulteriori tipologie di prodotti commercializzati dalle farmacie

A questi si aggiungono «b) gli articoli e i prodotti di cui alla tabella merceologica speciale per i titolari di farmacia (allegato 9 del Dm Industria n. 375/88: la c.d. “ex Tabella XIV”), previa una specifica autorizzazione commerciale – oggi notoriamente sostituita dalla Scia, che in principio non può tuttavia essere negata – e quindi gli alimenti dietetici e destinati a un’alimentazione particolare, i prodotti igienici, gli articoli di puericultura, gli articoli sanitari, i prodotti cosmetici, i liquori e i pastigliaggi medicati, i prodotti chimico-farmaceutici, ecc.» e «c) ulteriori prodotti/articoli/apparecchi, ecc. inerenti a vari altri settori merceologici, alimentari e non, compresi quelli di cui alla lettera precedente (e parimenti compatibili con l’esercizio della farmacia), e però previa una specifica e diversa autorizzazione commerciale, anch’essa oggi sostituita dalla Scia, il cui rilascio può invece, diversamente dall’altra, essere soggetto a una valutazione discrezionale circa le esigenze dell’utenza e della pianificazione commerciale». Secondo quanto evidenziato dallo Studio, «perciò, in definitiva, per essere in grado (come l’accentuarsi di spinte pro-concorrenziali sta sempre più imponendo) di offrire un’ampia gamma di prodotti alla clientela, la farmacia potrebbe avvertire la necessità di dotarsi, per così dire, anche della terza “licenza”, oltre che di quelle sub a) e b) che ineriscono strettamente – come abbiamo visto – all’esercizio della farmacia».

Procedimento di successiva verifica e accertamento, dopo la presentazione della Scia

Nel chiarimento fornito, lo Studio ha puntualizzato che «l’attuale art. 19, comma 1, della L. n. 241/1990 prevede che “Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato”».

Il rispetto delle disposizioni da parte del segnalante

Lo Studio ha sottolineato che «il “segnalante”, in sintesi, deve soltanto comunicare all’Amministrazione – nel rispetto naturalmente delle disposizioni previste nei vari settori di competenza dell’attività svolta – il possesso dei requisiti per il suo concreto esercizio. Solo a seguito della presentazione della Scia prende avvio un procedimento di successiva verifica e accertamento, da parte dell’Amministrazione, dell’esistenza dei presupposti di legge, in mancanza dei quali quest’ultima è chiamata a intervenire (secondo il decorso o meno del termine di 60 giorni dal giorno di presentazione della Scia) con l’esercizio di poteri inibitori e repressivi».

Il rispetto del requisito del “termine ragionevole”

Secondo quanto riferito dallo Studio «l’Amministrazione – quando è chiamata e/o intenda esercitare poteri repressivi – è tenuta al rispetto, tra gli altri, del requisito del “termine ragionevole” di cui all’art. 21-nonies della L. n. 241/1990: e tuttavia, perlomeno nel Suo caso, ci pare che la dichiarazione da Lei presentata, che risale addirittura al 2010, induca ragionevolmente a ritenere che proprio il decorso di ben tredici anni abbia ridotto ai minimi termini lo spazio per interventi comunali di carattere repressivo proprio perché, se non altro, quel “termine ragionevole” dovrebbe considerarsi ormai ampiamente compiuto».

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