In diversi convegni e assise pubbliche viene spesso riferito di uno stato di necessità della farmacia e di come questa venga considerata un’attività in crisi. A volte ci si riferisce ad un numero esiguo di farmacie in difficoltà. Tuttavia, la realtà dei fatti sembrerebbe dire il contrario, anche alla luce di quanto stia accadendo nel settore. A domandarsi se la farmacia sia o meno davvero in crisi, e provare a rispondere a questo quesito, è Carlo Ranaudo, docente presso l’università di Salerno.

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«È indubbio – evidenzia Ranaudo – che lo scenario in cui opera la farmacia in Italia sia in profonda trasformazione. L’innovazione farmaceutica basata sui bisogni terapeutici sta spostando l’asse dei nuovi farmaci verso l’ospedale con nuove forme di dispensazione. Generici, off-patent monopolizzano la farmacia e la ricetta sembra perdere progressivamente il suo appeal. La legge sui capitali fà cadere il binomio farmacia-farmacista ed entrano in scena nuovi protagonisti». A ciò si aggiunge «la deriva esclusivamente commerciale a suon di sconti, campagne, tessere, layout», che per molti «sembrerebbe rappresentare per molti l’unica via di uscita alla crisi».

Tuttavia, evidenzia Ranaudo, «la prima domanda da porsi forse è la più semplice: la farmacia è veramente in crisi?». Secondo l’esperto infatti «se osserviamo l’attivismo di soggetti economici profondi conoscitori di numeri, margini e bilanci sembrerebbe far pensare il contrario. Il mercato delle transazioni è regolato da prezzi non certo da saldi estivi o sottocosto». In tal senso, «tante sono le farmacie i cui conti non sono assolutamente negativi». E allora viene da chiedersi: «La crisi c’è o non c’è?».

«Probabilmente è in crisi – spiega Ranaudo – il modello di farmacia fatta di sola dispensazione che si sta trasformando in un modello di farmacia molto più attenta al cittadino paziente e cliente. Un paziente che entra in farmacia per soddisfare un bisogno di salute, un paziente la cui vita si allunga e che spesso è costretto a convivere con una cronicità fatta da multi patologie e poli terapie».
Pazienti che, evidenzia, «prendono anche dieci o più farmaci al giorno prescritti da medici e specialisti diversi». E qui viene in aiuto il ruolo del farmacista, il quale «conosce tutti questi pazienti che conosce i rischi delle interazioni e che può e deve vigilare sull’aderenza alle terapie». Ciò mediante la riduzione dei rischi e l’aderenza terapeutica, le quali possono diventare «una enorme forma di risparmio per il Servizio sanitario nazionale». In sostanza, spiega Ranaudo, «meno ricoveri meno ospedalizzazioni miglior controllo della malattia significa ridurre i costi».

In tal senso, il farmacista diviene “centrale”, con «un ruolo attivo nella prevenzione dei fattori di rischio». Il che «significa consigliare stili di vita idonei ma anche supportare un corretto utilizzo di integratori o nutraceutici». Con riferimento verso quest’ultimo, «mercato questo in forte espansione a cui donne e uomini rivolgono grande attenzione, ricercano informazioni anche in maniera estemporanea ma che poi alla fine cercano il confronto con medici e farmacisti. Quei farmacisti vicini che offrono un servizio continuo di cui i cittadini si fidano».

Dunque, evidenzia Ranaudo, «questa centralità del farmacista si afferma attraverso il nuovo modello che superi la pura dispensazione e sia in grado di partecipare in maniera attiva insieme al medico e alle altre figure sanitarie alla presa in carico del paziente soprattutto il cronico e il fragile». Da qui, la domanda che secondo Ranaudo ogni farmacista dovrebbe porsi: «Si è disposti a rimettersi veramente in gioco e prendersi questo ruolo centrale e strategico all’interno di un Servizio Sanitario sempre più attento ai costi e alla sostenibilità?».

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