servizio farmaceuticoPer dare in sostanza un seguito alla Sediva news del 31/10/2012 (“Il punto sulla Riforma-Monti del servizio farmaceutico”) e approfondirne alcuni temi, vogliamo passare in rassegna con queste note – che intendono rispondere anche agli interrogativi che affiorano quasi quotidianamente nelle Vs. e‑mail – i capitoli ancora privi di risposte definitive della giurisprudenza o che la giurisprudenza non ha fino ad oggi occasione di affrontare o che, infine, pur risolti in una certa direzione dai giudici amministrativi, si sono successivamente complicati per il sopraggiungere di proposte nuove e diverse della Corte Costituzionale.
Trascureremo tuttavia le questioni di costituzionalità rilevate da più parti, e sotto vari profili (ma particolarmente in relazione agli artt. 41, 97, 117 e 118 della Cost.), in ordine all’art. 11 del dl. Cresci Italia, ma riguardanti soprattutto il duplice ruolo dei comuni – enti gestori almeno potenzialmente di farmacie e al tempo stesso assurti ora al rango di amministrazioni chiamate a regolare l’assetto territoriale del servizio farmaceutico – perché, pur essendo naturalmente una delle vicende ancora in piedi, dovrebbe tra breve risolverla se non il giudice europeo almeno la Corte quando scrutinerà finalmente le eccezioni sollevate un paio d’anni fa dal Tar Veneto anche se non condivise in realtà da nessun altro giudice amministrativo (per quanto ci riguarda, crediamo che molto difficilmente l’art. 11 possa essere anche soltanto scalfito nell’una o nell’altra delle due sedi…).
Ci soffermeremo dunque sulle altre vicende, anch’esse di interesse generale.
Piante organiche
La pianta organica (comunque la si voglia chiamare) è notoriamente sopravvissuta – in pratica con i contenuti e le caratteristiche che abbiamo sempre conosciuto – anche alla Riforma Monti, al pari della sede farmaceutica, e non v’è più traccia di tentativi, più che altro di matrice ministeriale, di togliere di mezzo quest’ultima (unitamente alla misura del decentramento della sede nelle due ipotesi contemplate nell’art. 5 della l. 362/91) per svincolare così le farmacie dalla rigorosa osservanza dei confini delle rispettive circoscrizioni e consentire loro, se pur sempre nel rispetto dei principi dettati dal comma 1 dell’art. 11, la libera trasferibilità sull’intero territorio comunale.
In questa legislatura, infatti, un’idea del genere non è stata più riproposta e questo probabilmente piace ai farmacisti, poco disponibili a vedersi sottrarre la porzione di territorio assegnata e paventando chissà quale salto nel buio, anche se dovranno forse continuare a fare i conti con qualche soluzione “borderline” indicata qua e là da alcuni Tar (che però il CdS non ha ritenuto per ora di asseverare) o diversamente disciplinata dal legislatore regionale, come insegna il caso della Campania e dei suoi stravaganti 400 m… oltre confine.
Ma qui un serio problema lo sta ponendo la sent. n. 255 del 13/10/2013 della Corte Costituzionale, che ha individuato – in tema di revisione, straordinaria e ordinaria, della pianta organica – un duplice ordine e/o livello di competenze (comuni e regioni, oltre alle solite Trento e Bolzano), come da noi illustrato più volte chiarendo anche le ragioni del nostro dissenso (v. Sediva news dell’08.11.2013: “Una decisione della Consulta ecc.”, del 21.11.2013: “Ancora sulla recente decisione della Consulta” e del 27.06.2014: “La ‘straripante’ circolare del Lazio sulla prima revisione ordinaria delle p.o.”).
Per il momento a questa proposta della Consulta, oltre ai giudici trentini che vi erano tenuti (TAR Trento, sent. n. 284 del 10.07.2014), hanno aderito soltanto quelli pugliesi, invece liberi di discostarsene: anzi, il TAR Lecce (sent. n. 676 del 27.03.2013) va persino oltre gli assunti della Corte, affermando che “il procedimento così delineato (il “duplice livello di governo” – n.d.r.) riveste certamente natura di procedimento complesso, caratterizzato al suo interno dalla previsione di un sub procedimento di competenza comunale legato esclusivamente alla determinazione localizzativa, riservando, viceversa, alla Regione e alla Province autonome, le finali determinazione e la complessiva responsabilità del procedimento con l’adozione dell’atto finale e con la previsione di poteri sostituivi nei confronti del Comune inadempiente anche con riferimento alla fase localizzativa, in conformità del principio di sussidiarietà.
Sta proprio nel tratto sottolineato – che, esprimendo un principio che informerebbe l’intero intervento dell’at. 11 sul sistema di competenze, va riferito indubbiamente anche alle revisioni ordinarie – il “sorpasso” degli stessi enunciati del giudice costituzionale, il quale non si è infatti posto neppure indirettamente la questione dei poteri sostitutivi, e che invece – “nei confronti del Comune inadempiente” – il Tar Puglia con grande disinvoltura riconosce in permanenza all’altro “livello di governo” addirittura “anche con riferimento alla fase localizzativa”; noi pensiamo però che le cose stiano in tutt’altro modo anche sui “poteri sostitutivi”, come abbiamo tentato di spiegare nella ricordata Sediva news del 27.06.2014 (“La ‘straripante’ circolare ecc”), criticando la circolare della Regione Lazio soprattutto su questo punto.
Certo, può anche darsi che altri Tar seguano l’esempio leccese, ma fatichiamo a credere che alla Corte presti “acquiescenza” il Consiglio di Stato che d’altra parte ha ribadito cento volte come nella riforma, oltre alla riduzione del quorum a 1:3300, l’unica vera novità sull’organizzazione territoriale del servizio farmaceutico stia nella devoluzione ai comuni di qualsiasi competenza in tema di revisione della p.o., e quindi tanto l’individuazione del numero delle farmacie come l’identificazione delle loro circoscrizioni.
Per la verità, c’è anche chi – come l’illustre Autore tosco-furlano (“Il rito laziale”: in Punto Effe n. 12 dell’8.7.2014) – suggerisce soluzioni che “superano” anch’esse (se non abbiamo frainteso) la tesi della Corte, e magari altri osservatori proporranno letture ancora diverse.
Dobbiamo perciò solo attendere che il CdS ritenga di affrontare criticamente e in profondità (come merita l’altissimo rango della fonte di provenienza) anche questo corno del dilemma e/o che sia la Consulta stessa a darsene carico ulteriormente quando dovrà esaminare le eccezioni di incostituzionalità dei giudici veneti, del resto inerenti proprio al trasferimento ai comuni di competenze esclusive riguardanti anche la localizzazione degli esercizi sul territorio.
Forse i titolari di farmacia preferirebbero tornare pienamente al sistema di competenze precedente al dl. Cresci Italia, temendo soprattutto questo ruolo così incisivo assegnato ai comuni che da parte loro d’altronde fanno ben poco per allontanare ogni sospetto, lasciandosi spesso deviare – quando ne sono coinvolti – da interessi puramente imprenditoriali.
Ma questo è comunque uno scenario (non dimenticando per di più che pure come semplice amministrazione consultiva il comune ha dato spesso grattacapi alle farmacie private…) che non è neppure immaginabile, perché – anche nel caso finisse per prevalere l’idea per noi peregrina dei giudici costituzionali – sarebbero sempre i comuni a dover condurre e concludere il procedimento, o sub procedimento, relativo alla collocazione delle farmacie sul territorio, talché il comune birbante potrebbe agevolmente continuare ad essere birbante e le sue scelte rischierebbero nei fatti di rivelarsi vincolanti anche per l’asserito secondo “livello di governo”.
Senza contare che da un ipotetico successo finale della tesi della Corte articolata sul “doppio binario” potrebbero in ogni caso derivare nefaste conseguenze non soltanto teoriche o di principio, ingarbugliando ancor più le cose sotto il profilo giuridico in un settore che già sta soffrendo tutto quel che sappiamo su altri versanti.
Il decentramento della sede
E’ una figura anch’essa tuttora solida e centrale nel sistema, anche se si può pensare che i presupposti previsti nell’art. 5 della l. 362/91 – che nel primo comma riguardano il decentramento d’ufficio, cui si procede nell’ambito del procedimento e del provvedimento di revisione ordinaria, e invece nel secondo il decentramento a domanda, svincolato quindi dalla revisione – si pongano ora con qualche difficoltà in più, tenuto conto che specie nei comuni maggiori le revisioni straordinarie potrebbero aver occupato numerose zone periferiche di nuova formazione abitativa o bisognose comunque di vedere irrobustito il servizio farmaceutico.
Proprio a questo riguardo merita un cenno l’incredibile “questione romana”.
Come si ricorderà, il censimento generale del 10.10.2011 aveva fatto emergere – alla luce dei dati Istat del successivo 31.12.2011 – la soprannumerarietà di ben 45 sedi rispetto a quelle scaturite dalla revisione straordinaria assumendo le risultanze anagrafiche al 31.12.2010.
Tali sedi non sono state soppresse perché nel ping pong tra Regione e Roma Capitale nessuno ha ritenuto infine di dover avviare, come pensiamo fosse invece doveroso, la prima revisione ordinaria al 31.12.2012, cosicché, procedendovi soltanto ora e dovendo pertanto prendere a base i dati Istat al 31.12.2013 (alla quale i residenti, secondo un sito del Comune, sono risultati pari a 2.863.322), ne sta derivando – visto che il numero di farmacie complessivamente “spettanti” alla capitale è diventato di 868 (2.863.322 : 3.300) – che non solo anche quelle 45 sedi sono tutte in questo momento perfettamente “in numero”, ma che la consistenza della popolazione romana richiede oggi l’istituzione di ulteriori 31 nuovi esercizi rispetto agli 837 corrispondenti ai residenti al 31.12.2010.
Se stiamo anzi a note recenti della Regione – e forse la divergenza può dipendere dalla ricostruzione intercensuaria (invocata dal suddetto nostro amico tosco-furlano come regola generale, che tuttavia non sapremmo quanto conforme all’art. 11), operata in un caso e non nell’altro, dei dati anagrafici al 31.12.2013 – il numero delle nuove farmacie salirebbe addirittura da 31 a 38!.
Tutte però le zone (60!) individuate in precedenza e in più riprese come aree di decentramento di sedi già istituite furono convertite, questa è storia, in sedi di nuova istituzione nel provvedimento di revisione straordinaria e altre 31 (o 38), come detto, dovranno essere ricavate per collocarvi i nuovi esercizi; perciò, sorvolando sul grottesco dell’intera vicenda (che forse era destino andasse proprio così), come potranno/dovranno essere oggi soddisfatte – quel che è ineludibile – le esigenze di spostamento in altre zone del comune di farmacie che da tempo sono in gravi difficoltà per l’impoverimento dei loro bacini di utenza? (e, s’intende, non si tratta di una questione solo romana, perché più o meno nella stessa condizione si trovano anche parecchie farmacie ubicate in altri comuni, metropolitani e non).
Ora, pensare di far uso – quasi a gogo per tutte loro – del decentramento a domanda sarebbe forse troppo ambizioso, perché gli interessati sono numerosi ed è difficile anche sul territorio capitolino individuare tante zone “di nuovo insediamento abitativo”, come richiede il secondo comma dell’art. 5 ponendo condizioni applicative e operative più circoscritte e rigorose di quelle previste nel primo comma per il decentramento d’ufficio.
D’altra parte, per il Comune può essere perfino più complicato utilizzare quello a domanda soltanto per alcune farmacie, indicando quindi loro immediatamente le rispettive zone di spostamento della sede e dell’esercizio, e provvedere alle altre solo in fase di revisione della pianta organica, perché in realtà non ci sarebbero criteri oggettivi, e men che meno incontestabili, per individuare le une e le altre.
Tanto vale insomma, ed è una soluzione in questo momento a portata di mano, agire per tutte le farmacie che lo hanno richiesto (e per le altre che potranno nel frattempo accodarsi) con il decentramento d’ufficio, individuando dunque – nel provvedimento stesso di revisione ora in gestazione – un numero adeguato (diciamo almeno 10 o 15) di ulteriori circoscrizioni da assegnare, differentemente dalle 31 (o 38) di nuova istituzione, ricorrendo al “concorso interno” introdotto a suo tempo da un provvedimento regionale.
Potrà forse essere un po’ laborioso per gli uffici di Roma Capitale delineare ora senza indugio addirittura 50 o giù di lì aree territoriali idonee per i vari aspetti a giustificare l’apertura di farmacie.
Ma è proprio a Roma Capitale che, abbia torto o ragione la Corte Costituzionale, fa carico senza alcun dubbio questo compito, perché la già citata discutibilissima circolare laziale – se certo ha sbagliato a prescrivere ai comuni un termine (il decorso 30 giugno) per l’adozione del provvedimento di revisione e a preannunciare l’esercizio di poteri sostitutivi in caso di sua inosservanza – ha invece correttamente loro riservato ogni attribuzione in tema di revisione delle p.o., tra le quali (come rileveremo tra poco sul piano interpretativo) deve rientrare, per la strettissima inerenza e per esigenze non equivoche di unitarietà del provvedimento, anche il potere di disporre il decentramento di una o più sedi farmaceutiche.
In fondo però il territorio romano è vastissimo (è la quarta o quinta metropoli della UE per dimensioni territoriali) e demograficamente disomogeneo, e averlo inoltre per questa vicenda arbitrariamente ripartito in 19 “sotto-territori” (quanti erano fino a poco tempo fa i Municipi, cioè le ex Circoscrizioni, ora diminuiti di numero per alcuni accorpamenti) configurando in pratica, senza il minimo fondamento in nessun assetto normativo (vigente o previgente), altrettante “sotto-piante organiche” – questo il criterio adottato in sede di revisione straordinaria – difficilmente può aver generato “un’equa distribuzione sul territorio” delle farmacie (vecchie e nuove), e perciò il lavoro può nel concreto risultare molto meno disagevole di quel che possa sembrare.
Sta quindi di fatto, in ultima analisi, che – nel quadro della migliore cura degli interessi pubblici che gli sono affidati e svolgendo semplicemente questo nuovo ruolo di regolatore del servizio farmaceutico sul suo territorio, ma naturalmente con un po’ di voglia di risolvere i problemi – il Comune può cogliere l’obiettivo che abbiamo indicato senza grandi stravolgimenti ritagliando irrinunciabilmente a tamburo battente, nell’ambito di questa prima revisione ordinaria, anche le 10 o 15 sedi di cui si è detto, da assegnare “decentrando” altrettante farmacie che oggi funzionano poco e/o male per ragioni strettamente inerenti alla loro attuale ubicazione.
Diversamente, per gli esercizi che hanno invocato il trasferimento della sede lamentando e documentando la caduta irreversibile dell’utenza – “ascritta” e “riconducibile” alla sede più che altro sulla carta – in conseguenza soprattutto di fenomeni migratori, si profilerebbero tempi biblici e nei fatti insostenibili per buona parte di quelle farmacie ormai in crisi aziendale anche conclamata.
Come si vede, è perciò necessario che la burocrazia – che inoltre, come noto, è avvertita dai politici e dai cittadini come un peso “gattopardiano” ormai insopportabile – esca almeno in questa occasione dall’ignavia e dal letargo senza nascondersi dietro le incertezze vere o presunte e gli inutili formalismi, che mostri più coraggio di Don Abbondio, che si rimbocchi finalmente le maniche e che faccia fino in fondo quel che deve, anche se questo dovesse qui comportare, come peraltro è fatale, qualche svantaggio per le farmacie eventualmente “avvicinate” dagli esercizi “decentrati” e qualche vantaggio per quelle “liberate” dalla loro vicinanza.
Per di più il Comune potrà contare sull’ausilio prescritto dalla legge delle Asl e dell’Ordine dei farmacisti, organi tecnici e competenti, i quali da parte loro potranno anche rendersi parti diligenti nel procedimento formulando sollecitamente proposte concrete di sistemazione del servizio su buona parte del territorio, perché, sia chiaro, tra farmacie nuove e sedi decentrate le zone interessate potranno essere parecchie.
Abbandonando ora la “questione romana” e tornando al decentramento in generale, c’è anche il problema, da noi esaminato anche in altre circostanze, dell’individuazione dell’amministrazione competente, che nell’art. 5 – sia per i decentramenti d’ufficio che per quelli a domanda – è la regione.
E proprio l’asserita persistente vigenza, nel suo testo integrale, dell’art. 5 è uno degli argomenti puramente letterali da cui la Corte ha tratto spunto (?) per affermare non già semplicemente una superstite attribuzione regionale in materia di revisione delle piante organiche circoscritta appunto ai decentramenti (anche se, come diremo, neppure questo è vero), ma niente di meno che il riconoscimento alle regioni (e a Trento e Bolzano) sia della titolarità che dell’iniziativa dell’intero procedimento di revisione (straordinaria e ordinaria), in cui si innesterebbero le scelte comunali – pure anch’esse provvedimenti – in ordine alla distribuzione sul territorio delle farmacie.
Ma prima ancora è necessario individuare e caratterizzare un plausibile criterio di riparto delle competenze tra comune e regioni e/o altre amministrazioni (senza però alcun rapporto di sovraordinazione tra loro), tenendo presente che in materia: a) l’art. 11, nell’ambito di applicazione del criterio demografico, devolve con certezza al comune qualsiasi potestà provvedimentale relativa alla collocazione degli esercizi (oltre che, secondo noi, alla loro istituzione); b) ed è però sempre l’art. 11 ad affidare invece alla regione l’istituzione di farmacie “in aggiunta alle sedi farmaceutiche spettanti in base al criterio” demografico, quindi in soprannumero, anche se circoscrivendo tale attribuzione a specifiche aree ultra o extra comunali come le stazioni ferroviarie, gli aeroporti ecc…
Quel criterio di riparto tra comuni e regioni, ribadendo quanto osservato a suo tempo, potrebbe pertanto essere così configurato: quando disposizioni previgenti al dl. Cresci Italia, e che si ritenga a questo sopravvissute, attribuiscano alla regione e/o ad altre amministrazioni l’adozione di provvedimenti non riguardanti l’istituzione e/o la distribuzione territoriale di farmacie “numerarie”, tali competenze dovrebbero considerarsi ancor oggi sussistenti; sembrerebbe invece spettare in via esclusiva al comune provvedere in ordine alla collocazione di esercizi istituiti con il criterio demografico, come pure agli eventuali successivi loro spostamenti, e quindi dovrebbero ritenersi corrispondentemente modificate di diritto le norme previgenti che dispongano diversamente.
Anche perciò il decentramento di alcune sedi – riguardando una diversa distribuzione sul territorio di farmacie “numerarie” – va ascritto evidentemente al Comune, anche tenendo conto dell’ulteriore rilievo che almeno il decentramento d’ufficio, stando al disposto del primo comma dell’art. 5 della l. 362/91, andrebbe comunque operato “in sede di revisione della pianta organica”, al cui interno, come ricordato più volte, è proprio il comune a dover sicuramente provvedere in via esclusiva alla sistemazione territoriale delle farmacie.
E poi, se è il comune che “identifica le zone nelle quali collocare le nuove farmacie, al fine, ecc.”, non può essere ragionevolmente che il comune a poter/dover valutare anche se “risultino intervenuti mutamenti nella distribuzione della popolazione ecc.” di cui al primo comma dell’art. 5, ma a ben guardare anche le “esigenze dell’assistenza farmaceutica determinata dallo spostamento della popolazione ecc.” indicate nel secondo comma dello stesso articolo.
Per ora, su questo argomento dobbiamo registrare solo l’intervento dei giudici siciliani che in un paio di circostanze si sono espressi esattamente in questa direzione, osservando in particolare che, essendo il procedimento di formazione della p.o., a seguito dell’entrata in vigore del dl. Cresci Italia, di competenza esclusiva (anche loro la pensano così) dell’amministrazione comunale, questa “va ritenuta sussistente non solo con riferimento alla approvazione della pianta organica, ma a maggior ragione relativamente alle singole istanze di decentramento, le quali presuppongono analoghe – seppur più limitate – esigenze pianificatorie”.
Ma qualche dubbio sicuramente resta e dovrà scioglierlo il Consiglio di Stato, che peraltro potrebbe pensarla anche in termini diversi, perché – dando per certo (anche la Corte Costituzionale è stata di questo avviso, pur se qualcuno non sembra d’accordo), che quello sulla competenza dei comuni (esclusiva o circoscritta alla territorializzazione delle farmacie) in tema di organizzazione del servizio farmaceutico costituisca un nuovo principio fondamentale dettato dal legislatore statale – si tratta di decidere se la sua sfera di applicazione vada oltre, come a noi pare, i confini strettamente segnati dall’art. 11, o se le cose stiano altrimenti, e quindi, in particolare, se vi sia o meno spazio per interventi del legislatore regionale che disponga secondo criteri autarchici sull’attribuzione di atti diversi dai provvedimenti di revisione.
E’ però una questione certamente troppo tecnica e complessa per affrontarla in queste note.
Il trasferimento della farmacia nella sede
Perfezionate le revisioni straordinarie, gli spostamenti delle “vecchie” farmacie all’interno delle sedi hanno riavuto il loro corso, senza trovare ostacoli neppure nel criterio scelto per la collocazione delle nuove, dato che, anche nei pochi casi in cui per esse sia stata soltanto indicata una via e/o piazza ove ubicare l’esercizio (come suggeriva il Ministero), la farmacia “urbana” che, provvista invece di una sede, intenda trasferirsi al suo interno deve in pratica, per intuibili ragioni, preoccuparsi soltanto di rispettare la distanza legale dei 200 metri da quelle vie o piazze indicate dal provvedimento comunale (osservando al più, con riguardo alle vie o piazze “adiacenti”, maggiori cautele nella misurazione della distanza, ma complicazioni insuperabili non dovrebbero sorgerne), valendo invece qui pienamente, se “rurale”, le considerazioni che abbiamo svolto con ampiezza in molte occasioni sulla natura “squisitamente discrezionale” (come spesso ribadito dal CdS) del potere comunale.
Qualche notazione in più, tuttavia, sullo spostamento nella sede di una farmacia “riassorbita”, un aspetto che abbiamo d’altronde già affrontato (v. Sediva news dell’11.06.2014: “Il CdS rinnega finalmente qualunque distinzione ecc.”).
Intanto, proprio per effetto del “riassorbimento” e della sua promozione da sede “topografica” in sede “demografica”, la circoscrizione potrebbe essere legittimamente modificata – sempre in fase, beninteso, di revisione ordinaria della p.o. – anche con l’annessione di qualche altra porzione del territorio comunale (ulteriori frazioni limitrofe e/o addirittura un segmento del capoluogo) ove ipoteticamente possa poi essere trasferito l’esercizio.
Non per questo, però, la farmacia sarebbe libera di trasferirsi dall’originario luogo di esercizio, perché anche in tal caso lo spostamento dovrebbe rivelarsi rispondente alle esigenze generali e locali dell’assistenza farmaceutica sul territorio, e in particolare a quelle enunciate nell’art. 11 (presenza più capillare del servizio, maggiore sua accessibilità per gli utenti anche se “residenti in aree scarsamente abitate”, equa distribuzione territoriale degli esercizi), e quindi l’amministrazione, nell’accogliere o rigettare la domanda di trasferimento, dovrà valutare anche se medio tempore si siano ad esempio registrati fenomeni migratori della popolazione che abbiano fatto venir meno anche parzialmente quelle esigenze nella frazione ove la farmacia “riassorbita” è ubicata e che giustificarono a suo tempo l’istituzione di un esercizio ex art. 104 TU.San.
Anzi, come abbiamo rilevato anche nella citata Sediva news dell’11/06/2014, nei comuni minori (con non più di 12.500 abitanti) – nei quali l’istituzione di una (e una soltanto) farmacia ex art. 104 è tuttora consentita – una sede soprannumeraria potrebbe sopravvivere come tale anche all’applicazione del quorum 1:3300 e perciò anche non essere “riassorbita”, perché non crediamo che il “riassorbimento” possa derivare ope legis direttamente dalla disposizione di cui all’art. 104 secondo comma (del resto soltanto irrobustito dall’ultimo cpv del comma 3 dell’art. 11), considerandola cioè una norma‑provvedimento.
Perciò, essendo invece ineludibile la mediazione di un provvedimento comunale che della sede soprannumeraria disponga anche implicitamente il “riassorbimento”, un comune – persistendo evidentemente tutte le condizioni che condussero alla sua istituzione, e dandone adeguatamente conto nel provvedimento di revisione – potrebbe in definitiva anche mantenerla nella p.o. come tale.
È una questione che diventa quindi, come spesso é, di corretto o non corretto esercizio della discrezionalità, ma non c’è una preclusione in tal senso neppure nell’art. 104, secondo comma, come ci pare abbia lasciato intendere anche la sentenza del CdS n. 2851 del 4.6.14.
Circa l’amministrazione competente, se a spostarsi è una farmacia “numeraria”, non può essere che il comune, e anche in questo caso specifico dovrebbero considerarsi modificate in corrispondenza le norme regionali che prevedano diversamente; se è invece una farmacia “topografica”, propenderemmo, ma senza alcuna certezza, per il rispetto delle disposizioni attualmente in vigore.
La l. r. Abruzzo 21/05/2014, n. 32, tuttavia, non curandosi
affatto dell’art. 11, ha ora trasferito alle Asl la competenza in ordine ai provvedimenti “classici” per e nella vita di una farmacia, tra i quali anche l’autorizzazione allo spostamento dell’esercizio nella sede; bisognerà perciò verificare al riguardo il pensiero della Consulta se e quando – posto che non vi abbia già provveduto il Governo (cosa molto poco verosimile, visti i suoi impegni del momento) – un Tar porterà il provvedimento al suo esame.
Anche per questa vicenda dobbiamo allora attendere i responsi del CdS e valgono quindi le considerazioni accennate nel capo precedente in ordine alla più ortodossa delimitazione del nuovo principio fondamentale statale sulle competenze nel settore.
L’istituzione di farmacie in soprannumero ex art. 104 TU.San.
È un’altra disposizione sopravvissuta alla Riforma, dato che il criterio topografico – per quanto possa essere ora meno agevole ravvisarne tutte le condizioni applicative (perché le revisioni straordinarie del 2012 potrebbero aver riguardato, e in tale direzione dovrebbero altresì muoversi le revisioni biennali, anche “aree scarsamente abitate”, nonostante la non condivisibile svalutazione in giurisprudenza di questa indicazione dell’art. 11) – sembra anch’esso pienamente compatibile con il dl. Cresci Italia, che ha invero enunciato le nuove linee guida che sappiamo nell’organizzazione territoriale delle farmacie intervenendo, e piuttosto incisivamente, soltanto sul criterio demografico.
Applicando pertanto anche qui quel criterio di riparto dovrebbe essere sempre la regione (che persino l’art. 11, come si è visto, incarica di valutare l’istituibilità “nelle stazioni, ecc.” di farmacie anch’esse “in aggiunta ecc.”) l’amministrazione competente all’istituzione anche di farmacie soprannumerarie ai sensi dell’art. 104, che comunque – nel testo riscritto dal primo comma dell’art. 2 della l. 362/91 – è ancora in grado di funzionare integralmente, anche quindi per quel che riguarda la distanza di 3000 m, la sfera di operatività (comuni con non oltre 12500 abitanti) e il “limite di una farmacia per comune”, tanto più che, come d’altra parte è sempre stato, neppure il nuovo art. 2 della l. 475/68 innesta l’utilizzo del criterio topografico nel procedimento di revisione della p.o.
Gli altri presidi farmaceutici
Parliamo naturalmente sia dei presidi previsti da norme dello Stato che di quelli introdotti successivamente da disposizioni regionali, e dunque, da un lato, di dispensari farmaceutici (permanenti e stagionali) e farmacie succursali, e, dall’altro, dei presidi farmaceutici d’emergenza siciliani e dei dispensari “regionali”, cioè diversi da quelli statali.
La proiezione toscana, invece, appartiene ormai alla storia del diritto farmaceutico, perché, come noto, una legge regionale (l.r. Toscana n. 47 del 9.08.2013) – con la solita disposizione incastrata in un maxi provvedimento che parla di tutto – l’ha soppressa con un tratto di penna invisibile ai più. Le ragioni sono oscure: possono rinvenirsi nei problemi pratici e nel disagio della categoria che in qualche caso sono derivati dall’istituzione di una proiezione, ma forse stanno piuttosto nei convincimenti di alcuni funzionari regionali che, come ricordavamo all’inizio, fin dalla gestazione del d.l. Cresci Italia hanno coltivato l’idea (trasferendola anche ai colleghi ministeriali e magari influenzando persino i giudici fiorentini, come può rilevarsi da qualche loro decisione) di sopprimere definitivamente la sede farmaceutica.
È anche venuto meno – con la citata l.r. Abruzzo n. 32/2014 – il dispensario “abruzzese” (ne abbiamo parlato in una delle pillole di “Normativa, giurisprudenza & prassi” del n. 665 di Piazza Pitagora), che tuttavia ha avuto nel concreto vita brevissima, mentre, per contro, è stato nel frattempo istituito il dispensario “campano” (l.r. Campania 5/2013, anch’essa un “omnibus”, su cui v. pillola in Piazza Pitagora n. 657), l’uno e l’altro non omologabili a quello “statale” perché svincolati dalle condizioni di cui all’art. 6 della l. 362/91 e segnatamente da quella della vacanza della sede in cui rientra la frazione da servire.
Ora, il gran numero di farmacie istituite in applicazione del nuovo rapporto limite farmacie-abitanti – e in particolare dei nuovi criteri di localizzazione dettati dal comma 1 dell’art. 11 (pur se nella realtà i comuni se ne sono allontanati spesso e volentieri) – potrebbe aver assicurato l’assistenza farmaceutica anche in alcune zone coperte fino a quel momento da qualche presidio secondario.
Il che può averne anche comportato la soppressione sia pure come scelta talora discrezionale (segnatamente per i pfe), mentre in altre circostanze, come per i dispensari permanenti, la soppressione si è rivelata un atto vincolato per il disposto del terzo comma dell’art. 1 della l. 221/68 e in altre ancora, infine, sono state collocate nuove farmacie (è il caso di qualche comune emiliano e pugliese) in località di rilievo turistico, sinora assistite da farmacie succursali o dispensari stagionali, sull’assunto che i bisogni di quelle popolazioni richiedessero l’istituzione di un presidio permanente di primo grado come la farmacia, e anche qui la conseguenza nella maggior parte dei casi può essere stata la revoca della succursale o il mancato rinnovo del dispensario stagionale.
Specie però nei comuni di modesta consistenza demografica può esserci ancora spazio per l’istituzione dei vari presidi, e soprattutto del dispensario permanente, e noi siamo personalmente del tutto favorevoli – persistendo nel sistema, s’intende, la sede farmaceutica – all’incremento del numero di quelli esistenti, che possono infatti, senza tradursi in un’ulteriore e inutile infittimento di farmacie, accentuare ancor più la capillarità dell’offerta di farmaci sul territorio e per ciò stesso l’accessibilità degli utenti al servizio nel suo complesso, contribuendo così, a costo zero per la categoria in generale, al migliore irrobustimento dell’assistenza farmaceutica che è ormai l’obiettivo, che si agiti o meno la “libera concorrenza”, di tutti gli indirizzi politici.
È anche per questo che auspicheremmo quindi dappertutto dispensari “liberi”, come quello campano, e del resto le disposizioni regionali che eventualmente li introducessero non rischierebbero seriamente l’intervento della Corte Costituzionale anche perché – tenuto conto del giudizio di “costituzionalità” espresso dal CdS sulla proiezione toscana (che condividiamo, per le ragioni illustrate nella Sediva news del 28.7.2011: “Dal Consiglio di Stato ecc.”) – è improbabile che qualche Tar si prenda la briga di sollevare eccezioni di incostituzionalità a questo riguardo.
Certo, sarebbe preferibile e molto più semplice una disposizione statale che liberasse una volta per tutte il dispensario permanente dai lacciuoli dell’art. 6 della l. 362/91, restituendolo pertanto alla disciplina previgente; ma di questi tempi il legislatore dello Stato sembra avere ben altro da fare.
E quanto all’amministrazione che deve provvedere all’istituzione dei presidi secondari, ci pare che la soluzione, e a maggior ragione rispetto alle vicende già esaminate, sia senz’altro ancora una volta quella della sopravvivenza del regime di competenze previsto dalle norme, statali o regionali, che li disciplinano.
Dovrebbe perciò essere per lo più la regione a occuparsene.

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(gustavo bacigalupo)

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Ci sarebbero anche altri temi da illustrare perché vi sono ulteriori nodi da sciogliere, ma non ci mancherà certo l’occasione per parlarne e d’altronde questo lungo excursus, già per conto suo, potrà impegnare parecchio chi – anche se appassionato di diritto delle farmacie e affezionato estimatore di questa Rubrica – vorrà arrischiarne la lettura, magari sotto un ombrellone o al riparo di una quercia o in una baita di montagna o, per una delle tante ragioni, nello studiolo della farmacia.
(g.b.)

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