Il 6 giugno 2023 si è svolto un evento che ha visto la presenza di vari partecipanti, tra cui la senatrice Elena Murelli (Lega), presidente dell’intergruppo parlamentare sulle malattie cardio, cerebro e vascolari, Elisa Pirro (M5S), senatrice della X Commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale, l’onorevole Ilenia Malavasi (PD), membro XII commissione Affari sociali e dell’intergruppo parlamentare sulle malattie cardio, cerebro e vascolari, e altri rappresentanti di varie istituzioni e società. Un recente studio effettuato da Altems, Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha svelato come un nuovo approccio terapeutico potrebbe consentire una riduzione del 5% dei ricoveri nella gestione del rischio cardiovascolare residuo. Questo tradurrebbe in un risparmio di 170 milioni di euro per il Servizio sanitario nazionale, basato su una presunta remunerazione delle prestazioni di ricovero ospedaliero di 3 miliardi di euro.

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L’impatto in Italia delle malattie cardiovascolari

Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte in Italia, costituendo il 44% dei decessi. La cardiopatia ischemica è responsabile del 28% dei casi, mentre gli eventi cerebrovascolari, al terzo posto dopo i tumori, rappresentano il 13%. A livello globale, nel 2019, la prevalenza di malattie cardiovascolari è stata stimata in 523 milioni di casi, con un costo di 210 miliardi l’anno solo nell’Unione europea. Inoltre, le patologie dell’apparato cardiocircolatorio sono la principale causa di ricovero in Italia, con 863.505 dimissioni registrate nel 2019 (14,3% del totale). Secondo il Rapporto Osmed 2021, la spesa pro capite per i farmaci dell’apparato cardiovascolare è di 54,92 euro, registrando un aumento del 2,2% rispetto all’anno precedente. Le malattie croniche rappresentano un aspetto importante della gestione sanitaria, poiché chi sopravvive a un attacco cardiaco diventa un paziente cronico, con complicazioni che influenzano notevolmente la qualità della vita e generano costi economici e sociali significativi. In Italia, il 40% della popolazione soffre di almeno una patologia cronica e tra gli over 65 circa il 50% soffre di almeno tre o più condizioni croniche.

Le armi per la riduzione del rischio cardiovascolare

Pasquale Perrone Filardi, presidente della Società italiana di cardiologia (Sic), ha sottolineato che «le malattie cardiovascolari sono in assoluto la prima sfida sanitaria per il Paese perché rappresentano la causa di morte e di ricovero ospedaliero più diffusa in Italia, come in tanti altri paesi. E per i cittadini la sfida è essere curati al meglio, con tutto ciò che oggi la ricerca in campo biomedico fornisce in tema di prevenzione. È tantissimo quello che noi possiamo fare per ridurre il rischio cardiovascolare, tra coloro che non hanno avuto un evento e anche tra coloro che un evento l’hanno già subito. Spetta a noi e spetta alla politica mettere a terra tutte le possibilità che oggi la scienza ci mette a disposizione. Oggi questa è una sfida assolutamente importante, che va intensificata anche alla luce delle tante differenze che purtroppo oggi esistono, a livello nazionale e persino all’interno delle singole regioni, nell’accesso alle cure e in generale alla prevenzione cardiovascolare». Secondo Elena Murelli (Lega), presidente dell’intergruppo parlamentare sulle malattie cardio, cerebro e vascolari, «c’è bisogno di una strategia comune in Italia. Servono investimenti su ricerca e sviluppo, per trovare nuovi farmaci, sull’innovazione tecnologica, ma soprattutto serve ascoltare direttamente i pazienti per creare una rete tra personale sanitario, ospedaliero e gli stessi pazienti, che sono i primi a poter dare feedback sulla malattia stessa».

Numerose opportunità, non soltanto in ambito farmacologico

Per Giovanni Esposito, presidente della Società italiana di cardiologia interventistica (Gise) e membro della cabina di regia nazionale del Piano nazionale cronicità presso ministero della Salute, «oggi esistono numerose opportunità, non soltanto di tipo interventistico ma soprattutto farmacologico. È possibile raggiungere i target ambiziosi delle linee guida portando il colesterolo su livelli sempre più bassi. Non solo il colesterolo rappresenta uno dei fattori di rischio più importanti, la cui riduzione è stato dimostrato essere associata a una riduzione della mortalità cardiovascolare. Ma esiste un rischio residuo collegato ad altri fattori, come i trigliceridi. Oggi abbiamo delle armi che possono essere utilizzate a questo scopo, quindi occorre fare in modo che venga valutato il rischio cardiovascolare e che vengano utilizzate tutte le armi a nostra disposizione per fare in modo che la mortalità cardiovascolare continui a ridursi nel tempo».

Le strategie farmacologiche disponibili per i pazienti

Leonardo De Luca, vicepresidente Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (Anmco), ha commentato che «il paziente in prevenzione secondaria ha oggi a disposizione svariate strategie farmacologiche. Abbiamo una grande ricchezza di presidi e di strategie grazie alla ricerca degli ultimi decenni. Abbiamo terapie farmacologiche che riducono il rischio trombotico, con terapie anti-aggreganti e terapie anticoagulanti a lungo dosaggio, cosiddetto vascolare, con degli studi dedicati che hanno dimostrato un beneficio anche in termini di mortalità in pazienti ad alto rischio che prolungano la terapia anti-aggregante doppia, quindi aspirina più inibitore del P2Y12, oppure con questa strategia innovativa di aspirina più anticoagulante a dosaggio vascolare. Abbiamo delle strategie di terapie ipolipemizzanti, che sono molteplici ed estremamente efficaci. Non solo le statine, ma anche farmaci cosiddetti non statinici, anticorpi monoclonali, i cosiddetti “sirn”, i silenziatori dell’Rna, e ad oggi anche nuovi farmaci simili alle statine ma che non producono gli effetti collaterali delle mialgie, dei dolori muscolari. Abbiamo poi nuove terapie che riducono i trigliceridi, quindi farmaci che riducono il cosiddetto rischio residuo al di là dell’ottimizzazione della terapia. E poi ci sono sempre gli stili di vita, l’abolizione dell’abitudine tabagica, l’esercizio fisico, l’alimentazione corretta, che riduce notevolmente il rischio dei pazienti in prevenzione secondaria. Quindi terapie farmacologiche più o meno innovative, nuove strategie e terapie non farmacologiche».

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