L’associazione di un carbapeneme e un inibitore della beta-lattamasi mirato alle infezioni delle vie urinarie o post operatorie, due molecole contro batteri responsabili di infezioni acute della pelle e dei tessuti molli, alcuni dei quali multiresistenti, ed infine un antibiotico per via venosa efficace contro l’acinetobacter baumannii, tra i batteri ospedalieri più diffusi. Sono questi i quattro farmaci che l’azienda farmaceutica Menarini, con sede a Firenze, operante nel settore della ricerca, produzione e commercializzazione, immetterà sul mercato in Europa, Asia-Pacifico e Comunità degli stati indipendenti (Cis), per un totale di 64 paesi. Ciò allo scopo di combattere i ceppi multiresistenti responsabili di infezioni gravi, alcune delle quali contratte in ambito nosocomiale. A darne notizia è lo stesso gruppo, che già nel dicembre del 2018 aveva reso noti i dettagli di un accordo con la statunitense Melinta Therapeutics, società biofarmaceutica specializzata nella progettazione e sviluppo di nuovi antibiotici ad ampio spettro per il trattamento di infezioni resistenti in ambito ospedaliero e comunitario.

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Antibiotico-resistenza che, stando all’ultimo rapporto dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) sull’uso di antibiotici nel 2017, l’Italia è tra le nazioni maggiormente soggette alla problematica, a causa del consumo superiore alla media europea. Secondo quanto riportato dall’Aifa, infatti, il raffronto con gli altri Paesi Ue indica che «in Italia, nel 2017, il consumo territoriale, comprendente sia l’erogazione a carico del Ssn che gli acquisti a carico del cittadino, si è mantenuto superiore rispetto a quello della media europea». Ciò nonostante, «la differenza si è ridotta notevolmente nel quinquennio 2013-2017, in quanto l’Italia ha registrato in questo lasso di tempo una maggiore riduzione dei consumi territoriali». Tuttavia, aveva evidenziato l’Aifa, «in Italia si osserva un ricorso maggiore ad alcune specifiche classi di antibiotici, quali i chinoloni e i macrolidi, e un consumo minore di tetracicline». Mentre, per il consumo ospedaliero, esso «è invece allineato a quello della media europea; si registra, tuttavia, un consumo minore di penicilline e di tetracicline, mentre risulta maggiore quello di chinoloni e di sulfonamiditrimetoprim». A questi vanno aggiunti i numeri relativi al mondo veterinario e zootecnico, in cui la recente introduzione della ricetta elettronica obbligatoria dovrebbe fornire nel breve periodo dati esatti ed affidabili, così come quelli presenti per gli antibiotici ad uso umano.

Secondo Annamaria Pizzigallo, direttore medico scientifico di Menarini, «il fenomeno della resistenza agli antibiotici è favorito dal loro utilizzo, che risulta considerevole, ad esempio, negli allevamenti animali. È inoltre particolarmente rilevante fra i germi responsabili di infezioni ospedaliere, che si diffondono nelle strutture assistenziali spesso per il mancato rispetto dell’igiene delle mani. In Italia, più che in altri paesi del Nord Europa, c’è anche un inadeguato utilizzo di antibiotici ad ampio spettro, molto facili da reperire e da assumere per via orale, ma quasi sempre prescritti senza prima effettuare una ricerca microbiologica per sapere se siano realmente necessari». Inoltre, Pizzigallo evidenzia che «a questo si aggiunge una mancata aderenza alle terapie da parte dei pazienti che, non di rado, interrompono la cura o non rispettano dosaggi e tempi di terapia prescritti. Questo fa sì che il farmaco “uccida” i batteri più deboli, mentre sopravvivono e si selezionano quelli più resistenti».

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