Oggi, martedì 18 giugno 2019, la legge 69 del 18 giugno 2009, pubblicata in gazzetta ufficiale n. 140 del 19 giugno 2009, in vigore dal 4 luglio 2009, compie 10 anni. L’articolo 11 del testo, recante «Delega al Governo in materia di nuovi servizi erogati dalle farmacie nell’ambito del Servizio sanitario nazionale nonché disposizioni concernenti i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti», avrebbe dovuto far nascere, entro tre mesi, ad «uno o più decreti legislativi finalizzati all’individuazione di nuovi servizi a forte valenza socio-sanitaria erogati dalle farmacie pubbliche e private nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, sulla base di diversi principi e criteri direttivi». Tra le principali finalità quella di «realizzare campagne di prevenzione delle principali patologie a forte impatto sociale, anche effettuando analisi di laboratorio di prima istanza, restando in ogni caso esclusa l’attività’ di prelievo di sangue o di plasma mediante siringhe», quindi «prevedere forme di remunerazione delle attività da parte del Servizio sanitario nazionale entro il limite dell’accertata diminuzione degli oneri derivante, per il medesimo Servizio sanitario nazionale, per le regioni e per gli enti locali, dallo svolgimento delle suddette attività da parte delle farmacie, e comunque senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica», e, in aggiunta a ciò, «rivedere i requisiti di ruralità di cui agli articoli 2 e seguenti della legge 8 marzo 1968, n. 221, al fine di riservare la corresponsione dell’indennità annua di residenza prevista dall’articolo 115 del testo unico delle leggi sanitarie, di cui al regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni, in presenza di situazioni di effettivo disagio in relazione alla localizzazione delle farmacie e all’ampiezza del territorio servito».

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Tuttavia, i tre decreti attuativi, pubblicati in Gazzetta Ufficiale n. 57 del 10 marzo 2011, n. 90 del 19 aprile 2011, e n. 229 del 1 ottobre 2011, sono arrivati a distanza di diversi mesi dalla prima legge, precisamente il 16 dicembre 2010. I documenti hanno fatto chiarezza sugli aspetti attuativi relativi a «prestazioni analitiche di prima istanza», «servizi di secondo livello erogabili con dispositivi strumentali», «prestazioni professionali», «infermiere» e «fisioterapista». Rientrano tra le prestazioni analitiche di prima istanza, ovvero test autodiagnostici, i test gestibili direttamente dai pazienti in funzione di autocontrollo a domicilio, o che possono, in caso di condizioni di fragilità di non completa autosufficienza, essere utilizzati mediante il supporto di un operatore sanitario, presso le farmacie territoriali pubbliche e private», vale a dire glicemia, colesterolo e trigliceridi, misurazione in tempo reale di emoglobina, emoglobina glicata, creatinina, transaminasi, ematocrito, misurazione di componenti delle urine quali acido ascorbico, chetoni, urobilinogeno e bilirubina, leucociti, nitriti, ph, sangue, proteine ed esterasi leucocitaria, test ovulazione, test gravidanza, test menopausa per la misura dei livelli dell’ormone FSA nelle urine e test colon-retto per la rilevazione di sangue occulto nelle feci.

Per quanto attiene i servizi di secondo livello erogabili con dispositivi strumentali, erogati in «spazi dedicati e separati da altri ambienti», essi riguardano «dispositivi per la misurazione con modalità non invasiva della pressione arteriosa, per la misurazione della capacità polmonare tramite auto-spirometria, per la misurazione con modalità non invasiva della saturazione percentuale dell’ossigeno, dispositivi per il monitoraggio con modalità non invasive della pressione arteriosa e dell’attività cardiaca in collegamento funzionale con i centri di cardiologia accreditati dalle Regioni sulla base di specifici requisiti tecnici, professionali e strutturali, ed inoltre dispositivi per consentire l’effettuazione di elettrocardiogrammi con modalità’ di tele cardiologia da effettuarsi in collegamento con centri di cardiologia accreditati dalle Regioni sulla base di specifici requisiti tecnici, professionali e strutturali».

Uno dei decreti attuativi riguarda le prestazioni professionali erogate presso le farmacie e a domicilio del paziente da infermieri e fisioterapisti in possesso di titolo abilitante ed iscritti all’Albo. Nel caso dell’attività dell’infermiere, solo o con altri operatori socio-sanitari (Oss), esse comprendono «la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche, il supporto alle determinazioni analitiche di prima istanza, rientranti nell’ambito dell’autocontrollo, medicazioni e di cicli iniettivi intramuscolo, attività concernenti l’educazione sanitaria e la partecipazione a programmi di consulting, anche personalizzato, la partecipazione ad iniziative finalizzate a favorire l’aderenza dei malati alle terapie», oltre alle «prestazioni rientranti fra quelle effettuabili in autonomia secondo il proprio profilo professionale», su prescrizione dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta. Con riferimento al fisioterapista, tale figura può erogare all’interno della farmacia e a domicilio del paziente «la definizione del programma prestazionale per gli aspetti di propria competenza, volto alla prevenzione, all’individuazione ed al superamento del bisogno riabilitativo», «attività terapeutica per la rieducazione funzionale delle disabilità motorie, psico motorie e cognitive e viscerali utilizzando terapie manuali, massoterapiche ed occupazionali», ed infine la «verifica delle rispondenze della metodologia riabilitativa attuata agli obiettivi di recupero funzionale».

Alla luce di quanto evidenziato, le farmacie italiane a far data dalla pubblicazione dei decreti attuativi hanno avuto la possibilità di implementare tali tipologie di servizi nei confronti del territorio. Ciò nonostante i requisiti tecnici e strutturali, tra cui locali dedicati da avere in dotazione, che certamente hanno penalizzato le attività posizionate in contesti caratterizzati dalla carenza di spazi adeguati, ma anche per la limitata sostenibilità economica di detti servizi, sostenuti esclusivamente dalla spesa dei privati. Tali condizioni, dunque, hanno scoraggiato sin dal principio la crescita di un modello su base nazionale che abbia potuto garantire nel tempo lo sviluppo di una rete di servizi distribuiti in maniera omogenea sul territorio. Alla fine del 2017, tuttavia, una speranza sulla Farmacia dei servizi remunerata è stata riaccesa da un emendamento presentato alle legge di Bilancio da Andrea Mandelli e Luigi d’Ambrosio Lettieri, rispettivamente presidente e vice-presidente della Fofi. Esso prevedeva che in nove regioni italiane si fosse avviata una sperimentazione delle attività di supporto all’aderenza alle terapie e l’erogazione del servizi cognitivi previsti dalla legge 69/2009 e dal decreto legislativo 153/2009. Il ministero della Salute, d’intesa con quello delle Finanze e con la Conferenza Stato-Regioni, avrebbe individuato nel 2018 tre Regioni in cui attuare la sperimentazione, e poi altre tre nel 2019 e nel 2020. La sperimentazione sarebbe stata finanziata con 6 milioni di euro il primo anno, 12 nel secondo e 18 nel terzo.

E così, venendo ai giorni nostri, a quasi dieci anni dal 2009, nel marzo del 2019, la presidenza del Consiglio dei ministri aveva reso noto che la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano (Conferenza Stato-Regioni) ha raggiunto un’intesa in merito alla ripartizione del finanziamento destinato alla sperimentazione per la remunerazione delle prestazioni e delle funzioni assistenziali previste dall’articolo 1 del decreto legislativo n. 153 del 2009, erogate dalle farmacie con oneri a carico del Servizio sanitario nazionale. Il documento relativo al riparto indicava che la Lombardia è la Regione alla quale sarebbero stati concessi i maggiori finanziamenti, pari a quasi 8 milioni di euro. Segue, al secondo posto, il Lazio, con oltre 4,6 milioni, mentre alla Campania sarebbero spettati quasi 4,5 milioni. Poco al di sotto della soglia dei 4 milioni si collocano Sicilia e Veneto. Al Piemonte ed Emilia-Romagna circa 3,5 milioni. La Puglia avrebbe ottenuto finanziamenti per 3,2 milioni. Infine, all’Umbria a cui sarebbero stati concessi poco più di 700.000 euro.

Un ulteriore passo concreto verso tale sperimentazione è stato compiuto il 21 marzo 2019, data in cui si è svolta la riunione di insediamento del tavolo ministeriale relativo alla sperimentazione della Farmacia dei servizi. Tavolo riunitosi nuovamente il 30 maggio 2019 al fine di «stabilire, per ciascuno dei servizi professionali e cognitivi erogati dal farmacista – dalle campagne di screening al supporto all’aderenza terapeutica – metodologie e protocolli operativi, atti a garantire la standardizzazione delle procedure, la misurabilità degli effetti prodotti in termini di efficacia, e quindi di salute, ma anche di governo della spesa».

Intanto, se Regioni come il Molise e il Veneto tentano di allungare il passo procedendo con progetti indipendenti per lo più legati allo sviluppo delle Aree Interne, o a progetti su specifiche aree terapeutiche, a distanza di dieci anni esatti, sembrerebbe essere ancora lungo e tortuoso il percorso affinché la Farmacia dei servizi possa essere definita come un’operazione riuscita. Al punto che numerosi farmacisti si chiedono tuttora, alla luce delle complessità evidenziate, se effettivamente possa prendere piede un progetto che riguardi una serie di attività e figure non propriamente legate al nucleo professionale ed al bagaglio culturale del farmacista visto come esperto del farmaco.

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