Un’amara constatazione è quella che arriva dalla lettera di Fabrizio Picciolo, farmacista collaboratore che racconta come il suo lavoro – e quello di tutta la categoria – sia notevolmente cambiato nell’ultimo anno. Un processo che ha implicato la richiesta di un impegno sempre maggiore che non ha però avuto riscontri né in termini economici né con il rinnovo contrattuale. «A poco più di un anno della pandemia – scrive Picciolo – si può tracciare un bilancio per i farmacisti collaboratori. Alla luce di tutte le ulteriori responsabilità che in quest’ultimo periodo hanno investito i farmacisti collaboratori, il nodo cruciale del riconoscimento economico risulta essere ancora non risolto. La mole di lavoro, di concerto con le responsabilità, è esponenzialmente aumentata. Ciò senza un concomitante incremento della retribuzione. Il contratto del farmacista collaboratore risulta essere fermo al lontano 2013».
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Ancora aperta la questione del settore di appartenenza del contratto
Le proteste per il rinnovo del contratto dei farmacisti collaboratori non sono solo legate alla componente economica ma anche alla categoria del contratto stesso, attualmente inserito nel terziario del commercio, quindi al di fuori della sfera sanitaria. «Siamo la sola anomalia di professionisti laureati – fa notare Picciolo -, iscritti a un ordine professionale, previo superamento di un esame di stato, a essere inquadrati come commercianti. La svolta cruciale per il nostro contratto poteva essere la pandemia ma, anche in questo caso, non è stata vista come una priorità. Un cambio di contratto, dal settore del commercio a quello sanitario, darebbe dignità e riconoscimento a una categoria che è rimasta aperta quando tutta l’Italia era chiusa causa pandemia».
L’appello a Federfarma e Fofi
Le osservazioni di Picciolo fanno poi riferimento ai recenti impegni assunti dai vari sindacati del settore a nome di tutta la categoria farmaceutica, con l’aggiunta alle proprie mansioni di servizi sanitari come l’esecuzione di tamponi per la diagnosi di Covid-19 e la somministrazione di vaccini. Nel fatto di specie, secondo il farmacista «Federfarma rappresenta i soli titolari di farmacia eppure lo stesso sindacato parla a nome di un’intera categoria», inoltre segnala «incombenze proposte su base volontaria, ma che spesso vengono imposte ai collaboratori dai datori di lavoro. Benché l’adesione sia su base volontaria – spiega Picciolo – molti colleghi che conosco sono, addirittura, costretti a fare tutto questo per non perdere il proprio posto di lavoro. La retribuzione per l’esecuzione, inoltre, avviene alla farmacia, che nulla corrisponde al proprio dipendente». Di qui, l’appello del farmacista ai dirigenti di Federfarma e Fofi auspicando un cambio di contratto e un riscontro ad una problematica della quale, secondo Picciolo, i vertici sono già a conoscenza: «Se siamo sanitari, aspetto definitivamente sancito con l’inoculazione di un vaccino, lo vorremmo essere anche contrattualmente. Esattamente come in tutta Europa».
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