Il farmacista anche se dipendente risponde personalmente se collabora alla truffa a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Non solo, può essere costretto, seppure in via sussidiaria con il titolare, a rifondere i danni erariali.
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Questa è l’opinione della Corte dei Conti del Lazio, espressa nella sentenza 803/2013 del 21 novembre 2013.
Anche se un dipendente è costretto ad eseguire degli ordini, il Collegio non ha dubbi circa il fatto che, trattandosi di operatore qualificato, un farmacista laureato, usando l’ordinaria diligenza, è in grado di rendersi conto delle finalità illecite degli ordini ed evitare e/o denunciare le condotte dannose poste in essere dalla Farmacia dalla quale dipende.
Nel caso di specie, la dipendente , come afferma la sentenza, si è “inserita materialmente e fattualmente nella gestione amministrativo-contabile della farmacia, mettendo in opera la compartecipazione fattiva delle condotte illecite dannose per l’erario”.
Una truffa complessa e raffinata che ha obbligato il farmacista titolare ed il suo dipendente, a rifondere ben 165.000 euro allo Stato ma solo dopo essere stati condannati anche in sede penale.
Il sistema DPC, integralmente gestito tramite apposito programma informatico (webDPC), venne configurato proprio con l’esplicito intento di monitorare e ridurre la spesa sanitaria. Attraverso la forzatura del sistema, i due farmacisti avevano trovato il modo da creare una falsa evidenza di assenza del medicinale nel circuito.
Avv. Paola Ferrari
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