Con una recentissima ordinanza (n. 19126) la Corte di Cassazione ha ricordato – perché nei fatti ha in realtà semplicemente confermato un proprio orientamento consolidato in materia – che per le cessioni di immobili privi di rendita catastale, e per i quali è stata chiesta l’applicazione della c.d. “valutazione automatica” sulla base di una rendita presunta, il recupero della maggiore imposta di registro, inevitabile se il valore dichiarato in atto si riveli inferiore a quello determinabile secondo la sopraggiunta rendita definitiva, deve avvenire nel termine di tre anni con un semplice avviso di liquidazione, senza necessità, pertanto, di un vero e proprio atto di accertamento.

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Come sappiamo, per le cessioni di immobili abitativi nei confronti di privati è ancora possibile pagare l’imposta su un valore pari alla rendita catastale moltiplicata per un certo coefficiente (c.d. “valore catastale”) in luogo del corrispettivo effettivamente pagato/riscosso, di norma notoriamente più elevato.

Questo è possibile anche per gli immobili ancora privi – al momento della cessione – di rendita catastale, purché contestualmente all’atto venga richiesta per l’appunto l’attribuzione della rendita definitiva.

Tuttavia, per non correre il rischio che questa opportunità di risparmio fiscale si traduca praticamente in un boomerang, bisogna porre la massima attenzione nel calcolare una rendita presunta il più possibile vicina a quella che verrà attribuita dal Catasto in via definitiva; e infatti, se quest’ultima si rivelasse superiore a quella (presunta) utilizzata per il conteggio dei tributi nel rogito, l’ufficio fiscale sarebbe autorizzato, come accennato, a recuperare direttamente la differenza d’imposta che ne scaturisce con un semplice avviso di liquidazione, dando insomma seguito “fino in fondo” alla stessa richiesta di applicazione del metodo automatico, che è stata bensì formulata dal contribuente ma… facendo male i conti.

Dott. Stefano Civitareale

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