Dopo esser stata insignita del premio “Industria Felix”, lo scorso agosto, concesso alle imprese competitive, affidabili e sostenibili, il distributore intermedio Guacci Spa, operante in Campania, Lazio, Puglia, Abruzzo e regioni limitrofe è stato inserito in “Fortune Italia 100 – Best regional companies” che tiene conto delle aziende che si sono contraddistinte per dimensione dei ricavi, variazione tra l’ultimo bilancio disponibile e il precedente, e legame con il territorio.
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La posizione di Guacci Spa in classifica Fortune Italia
Alla quinta posizione della classifica delle aziende operanti in Campania, Guacci Spa, la quale con i siti logistici dislocati in Campania, Lazio e Puglia, ha raggiunto ricavi pari a 401 milioni di euro, con un incremento percentuale del +2,58%. «La storia della Guacci Spa – si legge nel testo – affonda le sue radici nella fine del XIX secolo, quando il chimico Giovanni Guacci iniziava la produzione dell’omonima China all’Interno dei locali della Farmacia del Moro a Montesanto, nel centro storico di Napoli». Nelle fasi successive e «nel corso degli anni, la China Guacci si afferma come efficace rimedio contro la malaria, e la provata utilità del tonico ricostituente è testimoniata fra gli altri da prestigiosi riconoscimenti. Nel 1946 Giovanni Guacci decide di diversificare e ampliare le attività con la distribuzione farmaceutica intermedia: nasce cosi la Guacci Spa. Oggi il magazzino si estende su una superficie di oltre 18mila metri quadrati».
I parametri di valutazione di Fortune Italia
«Guardando a questi tre parametri – si legge su Fortune Italia -, e grazie alla base dati fornita da Bureau Van Dijk – a Moodys Analytics Company, la redazione di Fortune Italia ha selezionato 100 aziende – 5 per ogni regione – che si segnalano per il loro percorso di crescita. Sono le nostre Best Regional Companies per il 2020». Quanto all’uso dell’attributo “regional”, Fortune specifica che «non sta a indicare una dimensione regionale – molte di loro hanno attività fortemente internazionalizzate – ma il ruolo che rivestono per le rispettive comunità locali». Per questo motivo «abbiamo scelto di non considerare le aziende a partecipazione pubblica, le consociate italiane delle multinazionali e le multiutility. Si tratta, ovviamente, di una fotografia pre-covid e la sorte di molte di queste aziende dipenderà dalla capacita di reagire alla crisi in corso. Ma è a questo tessuto produttivo, fatto soprattutto di medie aziende capaci di essere competitive in mercati sempre più globali, che si deve guardare per immaginare un percorso di ricostruzione dell’economia italiana».
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