Si è svolto in modalità ibrida l’incontro “Il Valore aggiunto alla salute – Farmaci, salute e innovazione: le nuove frontiere delle Vam”, organizzato da Egualia, che ha messo in luce le potenzialità di tre cluster e cinque domini nel cominciare a tracciare un percorso tecnico-scientifico condiviso per conferire ad un principio attivo già noto, ed eventualmente in commercio, un “valore aggiunto” legato ad un nuovo posizionamento dei farmaci che lo contengono. Le Value added medicines (Vam) sono farmaci “off patent” basati su molecole note nella pratica clinica che, in funzione di modifiche quali estensione di indicazione, riformulazione o diversa combinazione e sviluppo di device associati, possono produrre un valore aggiunto per pazienti, clinici e istituzioni. Si tratta di un settore emergente in Europa, dove nei diversi Paesi si assiste ad una pluralità di approcci diversi nella valutazione delle eventuali evidenze associate al valore aggiunto delle Vam. In alcuni casi, nei processi di HTA, le aziende produttrici di farmaci a valore aggiunto, devono fornire le stesse evidenze che vengono richieste per i nuovi farmaci.

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Vam non possono accedere al label di innovatività

Nel corso dell’evento è emerso che «in Italia le Vam non possono accedere al label di innovatività perché il vantaggio nell’impiego del medicinale e una migliore accettabilità della terapia da parte dei pazienti non rientrano nei criteri a tal fine considerati. E non possono ottenere un premio di prezzo rispetto alle alternative terapeutiche esistenti – pur recando rispetto ad esse concreti e misurabili vantaggi – perché quest’ultimo viene concesso solo ai prodotti che presentano un accertato valore terapeutico aggiunto». Nel dettaglio «il documento presentato punta a colmare questo gap, individuando gli elementi di valore dell’innovazione incrementale, quali ad esempio la migliore aderenza al trattamento, le preferenze dei pazienti, l’aumento di qualità della vita, l’impatto organizzativo con possibili vantaggi per le famiglie, i caregiver, il sistema sanitario nel suo complesso».

I case studies utilizzati

Quanto ai case studies utilizzati per individuare le metodologie idonee a perimetrare ciascun dominio, il primo riguarda «il riposizionamento di un principio attivo originariamente utilizzato per il trattamento dell’ipertensione, poi riformulato e approvato per il trattamento del Disturbo da Deficit di Attenzione Iperattività (ADHD)», vi è poi «l’estensione delle indicazioni di un farmaco inizialmente registrato per il trattamento del cancro al seno anche al trattamento del carcinoma pancreatico e polmonare» ed infine «l’associazione fissa di corticosteroidi per inalazione (ICS) e di broncodilatatori LABA (beta2-agonisti a lunga durata d’azione) per il trattamento della Bronco Pneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO)».

Studi di post marketing definiti in fase negoziale

Gli autori dell’Expert Opinion hanno sottolineato che «se per una nuova indicazione è sempre necessario uno studio clinico sperimentale per le altre aree è fondamentale impostare studi di post marketing definiti in fase negoziale, capaci di generare evidenze di Real World che consentano di riaprire una ulteriore negoziazione del prezzo, ad esempio, dopo due anni di utilizzo del medicinale. Survey riguardanti i pazienti affidati ai medici di medicina generale potrebbero invece consentire la valutazione degli esiti clinici e l’aderenza al trattamento». Per Geremia Seclì, coordinatore del Gruppo Vam di Egualia, «quello delle Value added medicines costituisce un campo ancora inesplorato dal punto di vista regolatorio nel nostro Paese ma che può portare importanti vantaggi sia ai pazienti che al SSN. Ci auguriamo di poterci confrontare al più presto con l’agenzia regolatoria per arrivare – anche in collaborazione con le rappresentanze dei pazienti – ad un contesto normativo specifico per questa categoria di prodotti».

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