«Una sentenza della Corte di Cassazione, resa nota solo alcuni giorni fa, ha posto fine ad un dubbio che ha sempre suscitato pareri contrastanti in assenza di una apposita norma di legge». È quanto afferma Maurizio Cini, presidente dell’Associazione scientifica farmacisti italiani (Asfi) e docente dell’Università di Bologna, alla luce della sentenza della Corte di Cassazione in materia di abbuono totale o parziale del pagamento di ticket obbligatori per legge e applicazione di condizioni differenti di sconto alla clientela con riferimento ai farmaci non convenzionati. Come riportato da FarmaciaVirtuale.it, dello stralcio della sentenza ripreso dalla Fofi, tale atteggiamento costituisce infatti concorrenza sleale.
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La dinamica prescrittiva di un farmaco
«Come è noto – evidenzia Cini -, quando il medico prescrive un medicinale a carico del Servizio sanitario nazionale può scegliere tra l’originale (motivandolo) e il generico. Di fronte alla prescrizione dell’originale il farmacista deve richiedere all’assistito la quota di partecipazione conosciuta come ticket, generalmente di importo modesto. Altrettanto noto, e fonte di discussioni mai sopite, è che alcune farmacie non richiedono il ticket agli assistiti pensando così di accattivarsi la clientela del Ssn. Più volte tale prassi è stata censurata dagli Ordini che però non avevano una norma a cui appellarsi e, solo formalmente, asserivano che si trattasse di pratica illecita con scarse possibilità di prova».
Il percorso intrapreso dall’Ordine di Bari e Bat
«L’Ordine di Bari e Bat – prosegue il docente – ha però intrapreso, fin dal 2017, con decisione un percorso sanzionatorio per giungere all’ultima parola. Così è stato. Un titolare di farmacia infatti venne sanzionato con la sospensione dall’esercizio della professione per 45 giorni, non solo per non fare pagare il ticket abitualmente ma anche praticando sconti sui medicinali pagati integralmente dal cittadino senza rispettare la noma che, nel prevederne la liceità, obbliga però a praticare lo sconto nella stessa misura a tutti i clienti, esponendone anche, su di un cartello, la percentuale applicata. Il farmacista sospeso ricorreva però alla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie (CCEPS) chiedendo l’annullamento della sanzione. La Commissione invece si limitava a ridurre la sospensione da 45 a 30 giorni, confermando quindi l’illiceità del comportamento ritenendolo integrare la concorrenza sleale, sanzionata dal Codice Deontologico del Farmacista».
Il ricorso del farmacista alla Corte di Cassazione
«Il farmacista – puntualizza Cini – ricorreva allora alla Corte di Cassazione (quale ultimo grado del giudizio disciplinare) vedendosi però confermare la decisione della CCEPS e ponendo così fine alla annosa questione. Posto che è stata definitivamente stabilità l’illiceità dell’abbuono del ticket al paziente è pur vero, come molti denunciano, che le aziende sanitarie, nella sempre più estesa pratica della distribuzione diretta, non pretendono dagli assistiti alcun pagamento ancorché distribuiscono medicinali originali per i quali, nelle liste di trasparenza, è previsto il pagamento del ticket quale incentivo all’uso dei generici. Va però detto che, mentre nelle farmacie di comunità il paziente può scegliere il medicinale generico e l’originale, dovendo quindi per l’originale corrispondere il ticket, nella distribuzione diretta l’assistito riceve il medicinale che la Asl ha a disposizione, senza possibilità di scelta, e talvolta può essere anche l’originale. Ciò dipende dai contratti di acquisto a seguito di gare con scontistiche non inferiori al 60% rispetto al prezzo al pubblico».
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