«Sono stati molti i commenti entusiastici al prossimo avvio della dematerializzazione della ricetta bianca. Si è parlato dei benefici di una maggiore tracciatura del farmaco, si è detto che sarà un altro passo avanti nel processo di digitalizzazione del Paese. Ogni partecipante a questo dibattito ha espresso elementi positivi in questa riforma. A mancare quasi del tutto è stata invece una riflessione sui rischi che certi cambiamenti potrebbero comportare per la nostra filiera. Rischi tutt’altro che remoti». Sono le parole di Francesco Schito, segretario di Assofarm, in un articolo pubblicato dall’organizzazione in rappresentanza delle farmacie comunali italiane.

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I processi automatici

«Partiamo dai fatti – si legge nella nota -. Da febbraio, anche per le ricette bianche, il medico inserirà i dati nel sistema, il paziente si recherà in farmacia col numero di ricetta bianca elettronica (Nrbe) o con il codice fiscale, e il farmacista dispenserà il farmaco prescritto. A partire da questi fatti, evidentemente non eclatanti, alcuni hanno convintamente immaginato un futuro prossimo in cui l’inserimento della prescrizione in un sistema digitale potrà attivare processi automatici di consegna a domicilio del farmaco».

Schito: «Condividiamo la riforma ma occhio ai fenomeni nocivi»

«E qui sta il punto – evidenzia Schito -. Condividiamo anche noi i pregi poc’anzi citati di questa riforma, ma siamo altrettanto convinti che essa possa dare il là a fenomeni nocivi per la farmacia e per la cultura sanitaria italiana. Immaginare sistemi distributivi a domicilio del farmaco rimanda ad una più generale cultura “della comodità” davvero imperante nella nostra società, così imperante da non farci più riflettere sui possibili effetti collaterali generati da certe pratiche comode. Milioni di italiani comprano quasi tutto online perché è comodo, ma sappiamo che il risvolto di questa medaglia è la perdita di migliaia di posti di lavoro nel commercio al dettaglio. Milioni di italiani cenano con pasti serviti a casa loro da app di food delivery. E’ certamente comodo, ma sappiamo che i rider sono lavoratori sottopagati e senza tutele contrattuali. Sappiamo anche che Amazon, Just Eat e compagnia bella non hanno migliorato i bilanci di aziende produttrici e ristoranti. Li hanno invece resi dipendenti dai sistemi distributivi e dai capricci provvigionali di questi grandi player globali».

«Quali le “controindicazioni” del fenomeno?»

Dunque, i dubbi del dirigente: «Quando potranno spedire a casa del paziente farmaci prescritti online dal medico, le farmacie diventeranno l’ennesimo servizio “comodo” per il cittadino. Ma quale sarà la controindicazione di questo fenomeno? La prima che ci viene in mente è che non è detto che le farmacie che forniranno questo servizio saranno le nostre farmacie, le farmacie private o comunali così come le conosciamo oggi. Dallo scorso agosto Amazon Pharmacy è un marchio registrato presso l’ufficio UE per le proprietà intellettuali. Vale anche la pena di ricordare come da anni il nostro sistema sia oggetto di attenzioni di chi vorrebbe rendere possibili maggiori aggregazioni proprietarie e ridurre il ruolo del farmacista professionista. Una maggiore comodità di acquisto del farmaco, al di là dei risvolti sanitari della questione, non necessariamente significa un futuro più roseo per le nostre farmacie».

Il rapporto diretto con il paziente

«Se cadremo nella tentazione di sacrificare il rapporto diretto col paziente – prosegue Schito – e di degradare la relazione consulenziale, se saremo disposti a perdere il nostro unicum professionale a vantaggio di una maggiore snellezza distributiva, allora diventeremo sempre più dei logisti e sempre meno degli operatori sanitari. Esponendoci così alla competizione del mercato della logistica. Ma c’è di più. In un contesto di distribuzione automatizzata a domicilio, che senso avrebbe la pianta organica? Quanti dipendenti di farmacia sopravviverebbero ad un drastico calo dei passaggi quotidiani nel presidio fisico?».

Il gioco della “sicurezza sanitaria”

«Insomma, multinazionali e distributori globali vedono nel farmaco una grande opportunità, e di conseguenza fanno il loro gioco, come è normale e legittimo che sia. Sorprende però che una parte non inconsistente delle farmacie italiane sia tentata dal fare lo stesso gioco. Un gioco per il quale non siamo e non saremo competitivi, e che ha già visto illustri sconfitti in altri settori economici. Se vogliamo vincere la partita della nostra sopravvivenza, una sopravvivenza peraltro ricca di senso sociale, dobbiamo invece imporre il nostro gioco. Non è il gioco della comodità, ma quello della sicurezza sanitaria, della presenza territoriale, del rapporto personale col paziente, del valore aggiunto al Servizio Sanitario Nazionale».

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