
L’associazione di categoria cita in particolare due articoli della normativa, che presentano «particolare rilievo ai fini in esame». Si tratta dell’art. 4, «che fissa i limiti massimi di THC nelle coltivazioni: se superiori allo 0,6%, possono comportare il sequestro o la distruzione delle coltivazioni stesse». In secondo luogo viene sottolineato quanto disposto dall’art. 5, «che rinvia ad un decreto del ministero della Salute, da emanare entro sei mesi, la definizione dei livelli massimi di residui di THC ammessi negli alimenti». Detto ciò, tuttavia, «il previsto decreto ministeriale non è stato ancora emanato, con i conseguenti margini di incertezza per un compiuto inquadramento della fattispecie». Mancando in altre parole il decreto attuativo, risulta ad oggi impossibile conoscere quale sarà nello specifico l’orientamento scelto dal governo. «Risulta peraltro che, nel frattempo, sono in corso campionamenti di tali prodotti da parte del Nucleo anti-sofisticazioni dei carabinieri», precisa infine Federfarma, aggiungendo che «tali circostanze non possono non indurre una particolare cautela nel valutare la opportunità di porre in vendita in farmacia i prodotti in questione».
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