Periodicamente si riaccende il dibattito tra sostenitori e oppositori dell’introduzione del numero chiuso alla Facoltà di Farmacia, e con l’inizio del nuovo anno accademico c’è da scommetterci che puntuale tornerà lo scontro. Da una parte c’è la Conferenza dei direttori dei corsi di laurea in Farmacia, che con il suo presidente, il professor Ettore Novellino, ne sostiene la necessità, anche se «non preso isolatamente, che dà solo possibilità di sterile polemica». «L’abbiamo inserito – spiega Novellino – all’interno di un piano più ampio di riforma, anche dell’esame professionale. Come Coordinamento presidi dei corsi di laurea abbiamo mandato una proposta a Fofi di riordino dei contenuti professionali, cioè cosa può fare il laureato in Farmacia, e conseguentemente dell’esame di Stato. Una volta approvato questo a livello legislativo, noi siamo già pronti per la revisione del piano di studi; siamo in attesa della risposta di Fofi e quindi dell’attivazione del tavolo politico. La nostra proposta prevede di aggiungere tutti quei compiti che negli anni il farmacista ha assunto o deve assumere per essere funzionale al Sistema sanitario nazionale; a livello legislativo la regolamentazione della professione è ferma al 1957. Alcune funzioni si sono consolidate nel tempo ma senza essere normate, e poi ce ne sono di nuove, che prima normiamo e meglio è». dall’altra parte, capofila dei contrari a una limitazione degli ingressi, c’è invece il Movimento nazionale liberi farmacisti (Mnlf), che sostiene che ciò che serve non è lo sbarramento ma «una seria riforma del corso di laurea», all’insegna della specializzazione. Anche tra i lettori di FarmaciaVirtuale.it ferve il dibattito: rispondendo a un sondaggio che abbiamo lanciato il 65% si dice favorevole al numero chiuso, mentre il 35% non è d’accordo. Tra i primi la motivazione principale è che «c’è un forte eccesso di laureati rispetto ai posti di lavoro disponibili», mentre tra i secondi prevalgono tre ragioni: «è giusto che si studi quello che si vuole», «come si fa a valutare se uno studente deve entrare a Farmacia con dei test di ingresso che non sono attinenti a quello che si farà», e poi i «rischi di imbrogli nei test di ingresso». La maggior parte dei colleghi pensa che sia «inutile illudere un numero indefinito di persone», «formare professionisti in eccesso è uno spreco di soldi per lo Stato», e che «troppa offerta di collaborazioni produce un ribasso della retribuzione» e «sfruttamento, abusivismo e disoccupazione»; «il mercato di qualsiasi professione va governato con una pianificazione professionale coordinata tra governo e associazioni di categoria. Progettare invece che subire il futuro è un compito politico tanto spesso evitato dalla pochezza dei nostri dirigenti». E c’è addirittura chi si spinge a suggerire provocatoriamente di limitare «l’iscrizione a Farmacia a chi realmente, conseguita la laurea, trova impiego, cioè i figli di titolari di farmacia e parafarmacia. Naturalmente non dovrà essere così in eterno, solo finché non si riduce il numero dei laureati senza lavoro», o chi propone di «bloccare le iscrizioni per qualche anno; chi vuole va all’estero. Così si potrebbe raddrizzare un po’ il settore». Per contro, altri colleghi, seppur la minoranza, non sono d’accordo sul numero chiuso in nessuna facoltà, perché non trovano giusto limitare il diritto alla libertà di scelta; «la selezione dovrebbe farla il corso di studi» o l’esame di Stato e avviene sul campo nel corso degli anni. C’è chi ancora crede, e molto, nella meritocrazia e nelle potenzialità della professione e cita le diverse possibilità di impiego a cui spesso non si pensa: oltre al farmacista al banco di una farmacia, farmacista ospedaliero, nei laboratori delle forze dell’ordine, sulle navi da crociera, direttore di produzione di cosmetici, integratori, farmaci, dirigente in strutture pubbliche, giornalista scientifico. Il senso di sfiducia sulla direzione presa dal settore però è palpabile: lo dimostrano il collega che afferma che «il numero chiuso serve a far ingegnare i soliti baroni a come far entrare il “figlio di”», o al contrario chi è favorevole perché non gli dispiacerebbe «mettere un intralcio in più per rendere la vita un po’ meno comoda a chi per forza deve prendere questa laurea per continuare la dinastia e per scoraggiare (far aprire gli occhi) chi la farmacia non l’ha e difficilmente riuscirà mai a possederne una, e che finirà, bravo e capace, sfruttato e malversato».
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